
Londra città aperta
Sono passati diciotto anni da quando, ragazzino ventenne, saltando dalla finestra della casa al mare di mia madre, bruciavo sul tempo gli agenti che erano venuti per portarmi via. Finiva così la mia esistenza in Italia fatta di militanza da strada dalla parte dei giovani neo-fascisti e iniziava quella “inglese”. Mi ritrovavo giovanissimo e nullatenente all’estero con esigenze ben più materiali (un tetto e un pasto caldo) che ideali da soddisfare. Inghilterra: terra d’approdo e d’adozione per emigranti e fuggiaschi di ogni tipo. Qui ripararono i protestanti ugonotti perseguitati in Francia, qui soggiornò il compagno Carlo Marx. E qui a Londra eravamo riparati pure noi: i fascisti. La Perfida Albione in fondo così perfida non è mai stata. Almeno nei nostri confronti, se è vero come è vero che quando su richiesta della magistratura italiana fummo arrestati da quelli di Scotland Yard, i magistrati inglesi (certo più sereni dei loro omologhi italiani), dopo averci tenuto tre mesi in carcere in attesa di estradizione, decisero di liberarci giudicando inconsistenti le prove presentate contro di noi. Erano i primi anni ottanta e quelli di noi che non lavoravano nei ristoranti italiani, facevano i cab driver. In pratica ci si comprava una macchina di terza mano e si faceva application (si dice così) presso una delle tante piccole compagnie di taxi privati e via, in lungo e in largo per Londra a scarrozzare clienti. La sera, la sosta d’obbligo per tutti era in un pub di Covent Garden che avevamo scelto come luogo di ritrovo della nostra comitiva. Ancora un paio di anni e quasi tutti i nostri amici, risolte le loro pendenze giudiziarie, erano rientrati in Italia. Restavamo io, Roberto Fiore e pochi altri con ancora qualche annetto di galera da scontare. Senza pensarci troppo si decise che se proprio si doveva restare occorreva organizzarsi meglio: “se noi non possiamo andare in Italia sarà l’Italia a venire qui”. Fu così che nacque Meeting Point. Con pochi mezzi e molta buona volontà mettemmo su un agenzia di alloggi per giovani studenti, soprattutto italiani. La cosa funzionò talmente bene che Meeting Point non soltanto diventò ben presto un punto di riferimento per gli italiani in cerca di alloggio ma anche un approdo sicuro per i “camerati”, non necessariamente latitanti, di passaggio dalle nostre parti. Sapeste quanti ne sono passati in questi diciotto anni…
Siamo al 1989 e una nuova ondata di ventenni arrivava da noi in cerca se non di libertà almeno di nuovi entusiasmi. Cosa stava succedendo? La tanto vituperata Inghilterra, patria del liberismo e mandante di tante nefandezze, aveva dato anche a noi “fascisti” la possibilità di trovare uno sbocco lavorativo onesto, dignitoso e di successo. Un’impresa commerciale un po’ strana la nostra, una sorta di conduzione familiare per la quale anche gente priva di esperienza lavorativa e competenza nel campo specifico (come eravamo noi) trova una collocazione puntando tutto su un gioco di squadra che alla lunga fa emergere le qualità di ognuno. La nostra Londra. Un rifugio oppure un limbo che ti imprigiona e dove il tempo scorre più velocemente che altrove? Una cittadella: questo rappresenta per me la nostra Londra. Una cittadella, inserita in un contesto, quello britannico, ma dotata anche di regole proprie, dove si coltivano sogni che con il lavoro e il sacrificio spesso diventano realtà, dove ci si difende dalla vita o la si attacca. Dove un gruppo di persone, la nostra comunità cresce perché crede. Sarà colpa del Corriere alla mattina, per il via-vai continuo di amici e parenti, o dei miei CD che, piaccia o no, girano a migliaia in tutta Italia, sarà per la neonata ma già “promettente” Forza Nuova ma io in Italia, sono sempre stato convinto di andarci quasi tutti i giorni. Giovedì 25 marzo però ci sono venuto per davvero.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!