In memoria di Walter Abbondanti, il comunista che si convertì prendendo in braccio la figlia

Di Luigi Amicone
17 Giugno 2013
Walter fraternizzava con il male che se lo era preso in custodia. Era certo che «con il Signore, la nostra vita non deve temere nulla»

Con Walter Abbondanti siamo diventati amici lo stesso giorno che un fenomeno di nome Franco Cavallo ce l’ha portato e presentato qui in redazione. A quell’epoca, forse più di dieci anni fa, Walter era già malato del cancro al cervello che l’ha ucciso in questi giorni. Ma fin dal primo impatto, ci sorprese la sua libertà, l’ironia imposta alla malattia che già aveva minato il suo fisico, gli impediva di muoversi liberamente, lo faceva dipendere dall’amore delle sue Manuela e Greta, la moglie immensa, la figlia grandiosa. Egli, in tutta evidenza, dominava il male e, anzi, fraternizzava con il male che se lo era preso in custodia e lo aveva costretto agli arresti domiciliari e a miriadi di operazioni, terapie, cure, dolori intensi.

Di lì, dalla sua casa nei pressi della Stazione centrale di Milano dove per qualche sera fummo a cene di sofisticata bellezza e di autentica fraternità, Walter ci scriveva le sue rubriche sul turismo e sul mercato del buon vivere in giro per il mondo. Lui, che rispetto al mondo si era fatto sì compagno, ma da posizione eremita. Dalla posizione di colui che veglia sulla verità della vita. Ci chiamava spesso qui in redazione, e spesso trascinandoci dentro lunghe conversazioni che avevano sempre lo stesso abbrivio. «Come sta tua moglie, come stanno i tuoi figli?». Era sempre certo della vita in Cristo. Certo che «con il Signore», diceva lui, «la nostra vita non deve temere nulla». E che scorresse limpida e sicura, la vita di Walter, custodita dai salmi, dall’eucarestia e dal Vangelo, questo è un fatto. Non ricordo una sola conversazione in cui Walter non arrivasse e non ci inchiodasse, prima o poi, con una battuta salace. Della salacità però biblica.

Non era un personaggio uscito da un racconto di Flannery O’ Connor. Però ci somigliava. Però era cattolico. Però era piantato nella vita di Comunione e Liberazione. Il “mio” movimento, diceva. E lo diceva dopo che per anni, in giovinezza e nella prima maturità, si era parecchio speso, da intellettuale e professore marxista, nella lotta di classe e nei libri della sapienza comunista. Nella sua biblioteca di casa ne conservava ancora le reliquie. Volumi e volumi di pensiero comunista. Da Engels a Stalin. Una tradizione che ogni tanto amava mescolare alla Bibbia. Per far trionfare, una volta di più, la verità della Rivelazione sullo sforzo, generoso e carnefice, della religione materialista.
Ed ecco come siamo diventati subito amici. «Nasce mia figlia. Sono emozionatissimo. La prendo in braccio. Mi viene spontaneo un pensiero: “Ma la vita non è mia”. Giuro, non ci avevo mai pensato prima. Ma da quel preciso istante ho smesso di essere ateo e stalinista. Ti dirò di più: mia figlia è nata al Policlinico di Milano, dove c’è una piccola grotta della Madonna di Lourdes. Sono andato lì e mi sono inginocchiato».

Quella mattina ci aveva raccontato in un attimo l’attimo della sua conversione. Pensate, non ci aveva mai pensato prima di prendere in braccio la sua unica figlia che la vita è data. Pensate a un uomo, a un comunista, a uno che ha messo piede in chiesa solo perché la sua futura moglie era ardentemente credente e lui, per compiacerla, si è piegato a quella che fino al giorno della nascita di Greta ha considerato in cuor suo una stupida favola. Pensate a cosa dev’essere stato per uno così, quel giorno che non ci aveva mai pensato prima di prendere in braccio per la prima volta sua figlia. «Sono caduto in ginocchio e ho pianto, amico mio». Anche noi, amico nostro.

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