Il giorno in cui la misericordia si prese l’ultima parola sul secolo ateo

Di Renato Farina
21 Maggio 2016
Verso le 12 incontrai fratel Ettore con la sua scassata utilitaria con la Madonna di Fatima sul tettuccio. Disse di pregare per il Papa che avrebbe subìto un attentato

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C’è una data che ho nel cuore, il 13 maggio. Quello stesso giorno di 35 anni fa, in piazza San Pietro a Roma, ci furono due mani che si contesero la scena del mondo, in uno scontro che è più grande del mondo. Una mano sparò per uccidere. Un’altra mano deviò il proiettile mortale. Vinse la mano che san Giovanni Paolo II identificò con quella della Madonna di Fatima. Non fu una vittoria per kappaò. Il Papa dovette molto soffrire, fu sull’orlo della morte per lunghi mesi. Non è detto che prima il tumore all’intestino e poi il Parkinson non siano stati effetto di quel micidiale colpo di pistola.

Il 13 maggio del 1981 si ricorda l’apparizione della Vergine Madre nella desertica provincia settentrionale del Portogallo massonicissimo a tre poveri pastori. Ricordo che verso le dodici di quel mercoledì mi recai nel Duomo di Milano, uscendo dalla redazione del Sabato che era situata in via Statuto. C’era fratel Ettore Boschini, camilliano, che aveva lasciato fuori la sua scassata utilitaria con la statua della Madonna di Fatima ancorata al tettuccio. Oggi fratel Ettore è servo di Dio, e in quel mattino esercitò il dono della profezia. Disse, citando la terza parte del segreto affidato a Lucia, che bisognava pregare molto per il Papa poiché avrebbe subìto un attentato. Disse il rosario e ci ridiede appuntamento per la sera. Non ricordo precisamente le parole, non ne presi nota, ma uscii dal Duomo con la strana impressione che avesse parlato per bocca di un Altro, che ci fosse un mistero.

Alle 17 e 17 ero al telefono con Gigi De Fabiani, vicedirettore di Avvenire che ascoltava nel frattempo in diretta l’udienza papale. Gridò: «Hanno sparato al Papa». Io corsi in Duomo, fratel Ettore era là. Aveva ricominciato il rosario.

Don Giussani e quelle parole di un Altro
Poi corsi da don Giussani, nella vecchia sede di Comunione e Liberazione, in via Mosè Bianchi. Stavolta registrai. Credo che le parole di don Giussani pronunziate con lentezza fossero anch’esse voce di un Altro. Disse: «In me, dopo un senso d’improvviso vuoto come chi è davanti all’impossibile, ho come scorto l’inevitabilità di quello che era avvenuto. Chi difende l’uomo – lo sappiamo da Gesù Cristo – deve passare attraverso tutto il rischio della vita, fino a quello estremo». Chi? «Qualunque sistema di leve abbia mosso quel braccio, è il potere. È il potere strumentalizzante e alienante che domina questa cosiddetta civiltà d’oggi, essenzialmente atea… e il potere ha bisogno della violenza. Questa società atea offre la violenza come unico consiglio di vita. A tutti i livelli, sempre».

Il potere, il diavolo, il proiettile fu deviato da una mano. In questo il Papa vide realizzarsi la profezia di Fatima enunciata dalla Vergine nel 1917. Non toglieva la libertà della storia, ma ne marcava i possibili esiti. Non era la previsione dell’inevitabile trionfo della morte e della violenza, ma l’indicazione di una strada per sconfiggerle: la penitenza, la preghiera, la consacrazione al suo Cuore, cioè al suo sì umilissimo all’Incarnazione. E la libertà dei milioni di martiri, ripetendo quel fiat che aveva salvato il Papa e il mondo. Il sangue dei martiri aveva affogato la morte. Non il suo, quello di Karol Wojtyla! Quello dei milioni di cristiani uccisi in odio a Cristo e alla carità! L’ultima parola sul secolo ateo non è stato morte o violenza ma misericordia.

Questa misericordia non è nostra, ci è donata, è una mano che devia il proiettile, che sconvolge chi era sicuro di portare a compimento il proprio dannato compito.

Giovanni Paolo lo disse a Fatima il 13 maggio del 2000. Oggi tutto questo ridice e rifà papa Francesco. Offrendo con il Giubileo straordinario la misericordia agli uomini e alle donne del nostro tempo.

E dire che Boris era partito per scrivere un articolo sui giornali del 13 maggio scorso, dove i due grandi giornalisti moralisti del nostro tempo, Massimo Gramellini e Marco Travaglio, seduti su opposti troni pontifici, avevano però prodotto lo stesso titolo: “Pizza e Fico” (confrontare editoriale della Stampa e del Fatto quotidiano). Ma sì, misericordia anche per loro.

@RenatoFarina

Foto Ansa

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