Così la visita di Francesco ha rivelato Milano a se stessa. La sfida cristiana al mondo

Di Renato Farina
28 Marzo 2017
Umilmente Milano e i milanesi, la Lombardia e i lombardi, esibendo un ordine micidiale eppure senza gelo o meccanicità, hanno accettato di farsi animare

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Da quanto tempo Milano aspettava di trovare se stessa. Di esserlo, finalmente riscoprire il suo nome profondo. Testori lo traduceva così: Mi-là-no. Cioè: io là non vado, non tradisco la mia essenza, non abbandono i padri, non fuggo da me stessa. Eppure Milano ha attraversato questa tentazione, e sembrava esserci cascata in pieno. Si è odiata. Dopo essersi montata la testa, si era liquefatta, un po’ come tutte le città, ciascuna alla sua maniera. Ma Milano di più. Perché essa è stata la sfida dell’umanesimo cristiano alla modernità. E sembrava averla tutta perduta. Non nelle strutture, sempre eleganti, ogni volta capaci di una squisita, funzionale grandiosità, ma nel suo cuore.

Fam, fum e frec. Fame, fumo e freddo. Ma senza imprecare, con una memoria sottile di un’antica bontà: el coeur in man.

La visita di papa Francesco ha consentito questa sorpresa. Milano si è sorpresa di se stessa. Non ci credeva più. In questi anni qualsiasi cosa di apparentemente bello e positivo attraversava questa metropoli (che etimologicamente vuol dire città madre, comunità madre) era subito sporcato dalla denigrazione e dall’autodenigrazione: tutto è corruzione, mafia, potere nefasto della sporcizia. E la reazione era una specie di vano orgoglio, molto volontaristico, in fondo non credendoci più.

Il ruolo di Scola (altro che Antipapa)
Stavolta niente di tutto questo. E Francesco ha rivelato Milano a se stessa, rivelando a sua volta la propria vocazione di papa maieuta. Non un papa assertorio. Bergoglio è uno che non sa prima che cosa dirà, che cosa farà, come andrà.

Io ho capito come sarebbe andata questa giornata, dall’attesa che Boris ha sentito accadere in se stesso. Ma non nasceva da lui. Ne è stato contagiato. Nelle varie parti della Lombardia era tutto un fervere del desiderio di un incontro, di un farsi vedere da un occhio capace di misericordia: quello del Papa, sì, ma soprattutto di quello che lo manda in giro. Che sarebbe poi il suo Signore. Non siamo stati abituati dai mass media, e neppure dalle chiacchiere da bar, a pensare al Papa come a uno che è mandato. Lo abbiamo visto come un dispensatore di ricette di sinistra e di tenerezze adatte a chi ha un temperamento piuttosto incline ai fiorellini.

Io non so come è accaduto questo miracolo. Credo che tanto sia stato merito del cardinale Angelo Scola. Perennemente visto come avversario umiliato di Bergoglio in conclave. Papa e Antipapa. Balle. Scola che è un gigante intellettuale, ha diminuito se stesso per lasciar spazio al Vescovo di Roma.

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Anche Milano si è diminuita per lasciare andare in alto, vicino alla Madonnina, un argentino che ha confessato di essere stato una volta sola a Milano, e pure di non essersi quasi accorto di Milano.

In questa umiltà Milano e i milanesi, la Lombardia e i lombardi, esibendo un ordine micidiale, perfettamente organizzato, eppure senza gelo o meccanicità, hanno accettato di farsi animare, hanno offerto il proprio volto bisognoso di speranza a un alito nuovo che colorasse la faccia di chi c’era.

Ora dirò qualcosa di raccapricciante, ma Boris è russo-brianteo, ed è così. Stavo in piazza Duomo dall’alba. Ho dovuto far ricorso ai “cessi chimici” che sono la cosa più orribile del mondo. Le classi sociali si distinguono da questo. La gerarchia nei luoghi di lavoro è significata dalla possibilità di accedere a questo o quel luogo di servizio. Ho scoperto che contemporaneamente a me il Santo Padre ha utilizzato lo stesso strumento. A 81 anni, in giro, strapazzandosi, e questa roba qui. So bene che Boris apparirà qui ridicolo, fuorviante. Ma a me è sembrato di una umanità e di una capacità di sacrificio disarmante. Nessuna separatezza. Neppure nel cesso.

Cristo è uno che va al cesso. Persino al cesso con gioia, da rappresentante di Cristo.

Un unico bisogno di essere amati
Capisco. Sono sprofondato. Ma quando ho sentito il Papa parlare della “minorità” dei cattolici, e farsi prendere la propria voce in un turbine quando ha detto che non dobbiamo preoccuparci, né rassegnarci, ma riandare «all’incontro in Galilea dei primi discepoli», con il mondo che si spalancava a un futuro nuovo. Io ho respirato. Ma prima di me ha respirato Milano. Dai grattacieli sullo sfondo, al carcere di San Vittore, il bisogno di essere amati è lo stesso. Non quello di udire discussioni sul destino dell’umanità, sui fini ultimi della storia, ma di essere oggetto di un gesto di conforto, che non è una goccia che si estingue, ma è il seme di una misericordia che può sbocciare in nuova civiltà.

Se Milano è così, se Milano può dare un simile spettacolo di ordine carico di cuore, pulsante di vita, allora questa Italia non è disperata, può far splendere un avvenire per i suoi figli. Tutto a partire da un cesso chimico, e sullo sfondo la Madonnina tutta d’oro, e piccolina.

@RenatoFarina

Foto Ansa

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