
VERSO IL MEETING/7 Saremo uniti
Intervista di Antonio Gurrado
Al Meeting di quest’anno tornerà padre Andrew Davison, che nel 2009 aveva partecipato alla tavola rotonda sull’educazione con John Milibank, Adrian Pabst e Stefano Alberto. Nel frattempo Davison ha lasciato Oxford, dove insegnava teologia, per preparare uomini e donne al diaconato o al sacerdozio anglicano nella Westcott House di Cambridge.Appassionato del suo doppio ruolo di pastore e insegnante, fermamente convinto che i due aspetti si influenzino vicendevolmente, Davison aveva evidenziato«la diffusa mancanza di meraviglia e di gratitudine verso Dio». Non per questo è pessimista riguardo alla necessità di rendere il Vangelo parte integrante della vita comune, ben testimoniata dal volume Imaginative Apologetics (SCM, 2009) scaturito dai corsi estivi di teologia tenuti al St Stephen’s college di Oxford.
Padre Davison, Dio è ancora presente nella quotidianità della sua paese, l’Inghilterra?
Anche se sembra che nessuno pensi più a Dio o alle questioni teologiche o metafisiche, credo che non si tratti di una condizione permanente nel corso della vita di un uomo. È difficile vivere da atei quando, ad esempio, muore un membro della propria famiglia. Ritengo che tale disinteresse possa essere dovuto all’assenza del divino dai mass media e all’idea che sia ineducato parlare in società di teologia o morale. Questo filtro impedisce l’espressione esterna di una vita spirituale internamente ancora attiva – fermo restando che una vita spirituale esclusivamente interna non è affatto salutare. Inoltre sono preoccupato dalla popolarità di “spiritualità” estremamente distanti dalla tradizione vita della fede comunitaria. Sono i fantasmi della religione, che col casuale affastellamento di volumi nel generico settore “mente-corpo-anima” di ogni libreria non fanno che ridimensionare il vero spessore della persona umana.
Al contrario, la presenza della religione nella vita sociale britannica è macroscopica. Qualche settimana fa, l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha diretto un numero speciale dello storico settimanale di sinistra New Statesman e le aspre critiche al governo Cameron espresse nel suo editoriale hanno scatenato vivaci polemiche.
Come primate della Chiesa d’Inghilterra (che conserva ventisei vescovi fra i membri della Camera dei Lord), l’arcivescovo ha un ruolo chiaro nella vita sociale e politica della nazione: è la terza carica dello Stato dopo la Regina e l’erede al trono; è il “primo fra i pari del Regno” e, come tale, il suo ruolo istituzionale è più significativo di quello del primo ministro. Ciò nondimeno lo si ascolta anzitutto in virtù della sua saggezza e della sua santità. Quanto alle critiche contenute sul settimanale, erano in realtà più equilibrate di quanto si sia voluto far apparire.
Bisogna però riconoscere che qualcosa è andato storto nel progetto della Big Society, che patrocinava fra l’altro un ritorno entusiastico all’impegno religioso nelle questioni sociali.
Il progetto doveva muovere da un ritorno all’attività sociale, che avrebbe dovuto seguire i principi di sussidiarietà così strenuamente sostenuti dagli amici del Meeting di Rimini. Non credo che la destra abbia un’idea chiarissima di cosa significhi: ha proposto ad esempio l’elezione popolare di vice-funzionari che però finirebbe per essere un’ulteriore burocratizzazione. La sinistra, d’altronde, può essere utile a questo progetto vista la sua insistenza sull’organizzazione comunitaria, dei cui benefici sono stato diretto testimone da parroco. È stata proprio quest’esperienza che mi ha convertito alla sussidiarietà (insieme alla lettura dei testi di Leone XIII). Detto questo, i risultati della Big Society nel campo religioso sono a dir poco ambigui. Il ritorno al volontariato passa necessariamente per un ritorno alla religione, in quanto molti programmi sono organizzati da parrocchie e molti volontari sono cristiani; ma la risposta delle chiese è stata oltremodo critica. Ci si è chiesti se davvero un governo possa incoraggiare il volontariato, la comunità, il locale mentre taglia fondi che avrebbero dovuto favorire questi elementi. Alcuni teologi si sono chiesti se la Big Society non sia soltanto la cortina fumogena dell’ideologia “meno tasse per meno spesa governativa”. Io, che pure ero favorevole ai suoi scopi, oggi non sono convinto che non lo sia.
Nello stesso numero del New Statesman si trova un lungo colloquio fra Williams e il ministro degli esteri William Hague, nel quale l’arcivescovo affronta con notevole competenza i temi caldi di ogni angolo del mondo. Oltre all’attenzione al locale, la Chiesa d’Inghilterra ha una vocazione globale?
La vastità della cultura di Williams lo pone nella scia dei grandi arcivescovi succedutisi alla sede di Canterbury, incluso Sant’Anselmo d’Aosta. La Chiesa d’Inghilterra è il fulcro della terza più ampia costellazione di chiese al mondo: la comunità anglicana. Foss’anche solo un residuo dell’impero britannico, basta a fare dell’arcivescovo una figura internazionale. La sua è una dignità patriarcale come quella degli arcivescovi di Venezia e Lisbona, sedi di nazioni che detenevano un impero. Il colloquio con Hague è disponibile sul sito del New Statesman e lo raccomando ai lettori di Tempi: Williams esprime molte preoccupazioni comuni al Santo Padre, a cominciare dalla condizione dei cristiani nel Medio Oriente che l’arcivescovo definisce senza mezzi termini «pulizia etnica». Parla di democrazia, di immigrazione, dell’influenza cinese in Africa; e sentire il ministro degli esteri opporsi categoricamente alla tortura ha consolato me così come chiunque adori il Cristo incarnato.e della sua santità. Quanto alle critiche contenute sul settimanale, erano in realtà più equilibrate di quanto si sia voluto far apparire.
Poche settimane fa, altri pastori anglicani sono stati ordinati sacerdoti cattolici grazie alla Anglicanorum Coetibus. Quali sono gli effetti della costituzione apostolica dal versante anglicano?
Bisogna anzitutto chiarire i termini.La Chiesa d’Inghilterra rivendica di essere una parte – piccola, ma significativa – della Chiesa Universale; di essere la Chiesa cattolica indigena dell’Inghilterra perché qui la Riforma non è stata paragonabile a quella francese, tedesca o svizzera.Nel XVI secolo la Chiesa d’Inghilterra è stata riformata e non inventata ex novo. Pertanto per noi costoro non sono stati “ordinati” sacerdoti cattolici: lo erano già, per quanto non nell’obbedienza alla Sede di Roma.La Anglicanorum Coetibus è per certi versi un complimento alla tradizione anglicana, della quale elogia i tesori; ma non credo che le conversioni individuali possano essere particolarmente costruttive quando si giunge all’ecumenismo su vasta scala. Se le nostre Chiese dovessero riunirsi, come mi auguro, vorrei piuttosto qualcosa come una Chiesa anglicana “Uniate”. Ciò che obietto è la maniera in cui la costituzione apostolica è stata resa effettiva: né l’arcivescovo di Canterbury né i vescovi cattolici britannici sono stati consultati in anticipo, e questo centralismo della curia romana è una delle principali preoccupazioni anche per degli anglicani che, come me, hanno una mentalità estremamente cattolica. L’effetto immediato sulla Chiesa d’Inghilterra è stata una sorta di crisi d’identità per l’ala che costituisce il nostro principale nucleo cattolico,ma credo che non sia stato solo un male: abbiamo perso alcuni membri eccellenti, ma anche di scomodi e aggressivamente polemici.
Ma è pensabile, sulla lunga scadenza, il ritorno alla piena unità fra anglicani e cattolici?
L’unità della Chiesa è la volontà di Cristo, quindi ho fiducia che alla fine ci arriveremo. Non in tempi brevi, però, perché la Chiesa d’Inghilterra sta esplorando sentieri “riformati” come ad esempio l’ordinazione delle donne. Ma a un recente convegno di teologi a Cracovia ho notato un senso di gioiosa ricerca comune della verità fra anglicani, protestanti e cattolici romani, oltre a un profondo rispetto se non addirittura amore: fra di loro c’erano molte persone associate a Cl, e forse nel loro novero posso rientrare anch’io. Me lo auguro.
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