
Una Macroregione Nord perché rinasca dal basso uno Stato sussidiario
Cari lettori di Tempi, mi auguro che la Macroregione Nord di cui si è iniziato a parlare nelle ultime settimane sia un tema destinato a prendere sempre più corpo nel dibattito pubblico. Di qui a fine mese saranno i presidenti di Lombardia, Veneto, Piemonte, e Friuli a discuterne pubblicamente. Ma bisogna nutrire la speranza che l’invito venga accettato anche dai presidenti di Liguria ed Emilia Romagna. Non è questione di divisione tra giunte del vecchio centrodestra e del vecchio centrosinistra. Vederla così significherebbe non cogliere il vero dato di fondo. E cioè che la proposta configura insieme sia l’occasione sia la necessità di trarre una sorta di bilancio di 18 anni alle nostre spalle, sul tema del federalismo, della sussidiarietà e dei rapporti tra Stato centrale e autonomie. So che in un prossimo numero di Tempi sarà approfondito proprio questo tema, quindi io qui mi limito solo ad anticipare alcune considerazioni. A mio giudizio, la Macroregione ha in sé la possibilità di offrire tre chances concomitanti.
È ovvio che sul bilancio dei 18 anni amministratori e cittadini tenderanno a dividersi a seconda della collocazione che ciascuno ha avuto rispetto a come il federalismo è stato affrontato nel mutamento del Titolo Quinto della Costituzione, nei provvedimenti di governo dedicati al tema, come nel concreto comportamento tenuto poi dai governi e dallo Stato centrale. La materia è disomogenea, visto che l’impegno programmatico che era prioritario per la Lega si è scontrato con annacquamenti nei testi alla ricerca di consensi troppo ampi – ad esempio per i costi standard sanitari –, e dall’altra parte lo Stato centrale con le sue manovre di rientro della finanza pubblica ha sempre finito per imporre una visione ferreamente centralista. Il primo punto dunque potrebbe rapidamente deludere se i partiti ripetessero il vecchio copione. Cosa del tutto diversa è se la Lega inizia a sviluppare concretamente la linea che Bobo Maroni per primo ha proposto all’assunzione della sua leadership. E cioè prendere atto che la lunga collaborazione Bossi-Berlusconi è di fatto finita col tramonto inglorioso dei due leader, e che occorre ricentrare le priorità mettendo la concretezza della questione Nord avanti, rispetto ai vecchi slogan secessionisti che hanno avuto un esito oggettivamente cattivo e contrario.
La seconda questione è quella centrale. Non si tratta di considerare la Macroregione Nord come un’idea “prendere o lasciare”, ma come un cantiere aperto. La sua essenziale importanza è quella di cogliere e rilanciare l’importanza rivestita ai fini nazionali dall’assecondamento invece che dall’ostacolo delle vocazioni produttive, di export, di innovazione e valore aggiunto che si annidano nel Nord italiano. Quanto più gli amministratori attuali sapranno articolare questo nuovo orizzonte aprendolo alle lezioni, alle sofferenze e alle passioni che ribollono nel tessuto d’impresa e nella società del Nord tanto duramente colpiti dalla crisi, ma insieme capaci di una straordinaria tenuta, tanto più la proposta, i suoi meccanismi partecipativi per definirne le caratteristiche prima ancora di farla divenire una compiuta proposta, potrebbero rappresentare la vera risposta alla stereotipata rappresentazione delle vane lamentele di Regioni e Comuni del Nord a ogni manovra finanziaria. Può essere un orizzonte nuovo vero, su cui confrontare e mobilitare il meglio delle esperienze del mondo accademico, della rappresentanza d’impresa, della società civile. Da replicare al Sud, tale e quale ma con la diversa declinazione di un’economia da rendere autoportante rispetto ai guasti decennali rappresentati da trasferimenti pubblici improduttivi, oltre che assai gravosi.
C’è infine anche un terzo orizzonte. Che riguarda l’intero mondo della rappresentanza. Quella politica: ed è evidente che il vecchio centrodestra dovrebbe capirlo per primo, solo se cieco può illudersi che non incasserà al Nord una sconfitta storica destinata a renderlo comunque altro e diverso, tra poco. Ma riguarda anche il Pd, visto lo zero seguito che quella forza ha riservato negli ultimi anni a chi come Cacciari e Chiamparino proponeva una via di rappresentanza nordista. Ma riguarda poi anche la rappresentanza d’impresa: leggete il libro appena uscito di Antonio Costato (Round Trip, ndr), ex vicepresidente nazionale di Confindustria, per averne conferma. Pezzi interi di società civile sono maturi per abbracciare una prospettiva di riradicamento territoriale per dare risposte nazionali che lo Stato attuale non è più in grado di fare. Lo Stato attuale, inefficiente e predone, va smontato e ricostruito, rendendolo più snello e più sussidiario. O questa via la si costruisce dal basso, oppure l’alternativa è tra il default e un lungo e amaro declino. È uno dei dieci punti del manifesto che abbiamo lanciato come Fermare il Declino, e io ci credo davvero.
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5 commenti
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Oscar,
il quarto orizzonte dovrebbe essere la prospettiva politica a piu’ lungo termine, dove la crescita possa assestarsi dopo il rilancio.
Vorrei vedere un partito che immagini le macroregioni (la nostra quantomeno) cucite su misura per una integrazione europea.
Un federalismo italiano sarebbe si efficace, ma incompiuto ritengo. La crescita come pilastro di un progetto europeo.
Un partito con una chiara matrice europeista in Italia manca.
L’Europa in toto ha risorse umane, intellettuali, culturali, naturali, artistiche, di esperienza, background, principi etici di liberta’ e solidarieta’, asset industriali, economici, finanziari e quantaltro (non lo spiego certo a voi) che ne farebbero il motore di un mondo sempre piu’ libero e giusto.
Un 11 punto del programma ?
Con stima.
Sergio
x luca.
penso che si debba costruire una struttura con diversi livelli di rigide competenze. es: la tav non va solo da torino a lione, ma attraversa diversi paesi europei, quindi dovrebbe essere gestita dal ministero dei trasporti,in quanto interesse nazionale, lasciando alla competenza regionale le strade di secondaria importanza, rivedendo nettamente il titolo V della costituzione (e forse la stessa cosa per la salerno-reggio calabria e l’alta velocità lungo lo stivale). questo è quello che penso come stato federale. per il resto, lo lascio agli italiani di buona volontà.
Francesco per me come pensi te non si riuscirà mai e si continuerebbe nella stessa maniera fino ad oggi!
LE macroregioni (per quanto importante non si vive di solo nord) avrebbero successo con un radicale riassetto dello stato. lo stato nazionale (non di roma, ma dell’italia) dovrebbe avere la funzione di costituirsi come ponte per l’unità e la collaborazione fra le aree, cioè ridurre a uno gli ambienti che andrebbero ad incontrarsi, riducendo così la litigiosità fra essi. vi è inoltre un aspetto che evidentemente preoccupa soltanto me: vi siete resi conto che si litiga sempre tra città, tra regioni, tra territori, tra padani e terroni(termini esaltati da questo astio)? non sarà il caso di ricostruire un po’ di identità nazionale? avere tre macroregioni rischia di far identificare il cittadino solo con il proprio territorio, dimenticando i legami storici, sociali e familiari con gli altri, cosa su cui campa da 20 anni la lega, ma non tutti vogliono la secessione come loro. non è un problema di globalizzazione, internet, multimedialità, cittadini del mondo…ma di volontà politica. esistono paesi, sia lontani che vicini, che sono da esempio. Oscar prestami attenzione.