
Trivelle. Non solo i “padroni”: anche la Cgil e i lavoratori sono contrari al referendum

Dopo gli industriali, i lavoratori. Perfino la Cgil si schiera con il “fronte dei trivellatori” e con quelle aziende che hanno ottenuto dal governo 326 autorizzazioni per sfruttare i giacimenti energetici entro le 12 miglia dalla costa. La Legge di stabilità garantisce un periodo di attività pari «alla durata della vita utile del giacimento». Un referendum indetto da comitati locali e ambientalisti, e sostenuto da nove Regioni, il mese prossimo chiederà a tutti gli italiani se vogliono limitare la durata delle trivellazioni.
LE RAGIONI DELLA CGIL. Il segretario nazionale dei chimici della Cgil, Emilio Miceli, però non ci sta. Con un intervento pubblicato ieri sull’Unità, si è opposto al referendum per tre motivi. Il primo è strategico: «In un mondo attraversato dall’ombra della guerra e con il rischio di un coinvolgimento fortissimo dell’Italia, sarebbe un errore strategico, fatale per il nostro paese vietare l’estrazione di idrocarburi».
LAVORO A RISCHIO. Il secondo è economico-lavorativo: se vincesse il sì al referendum «molte imprese chiuderanno i battenti» con conseguente «emigrazione verso altri lidi di frotte di ingegneri e di complesse infrastrutture tecnologiche e logistiche che rischiamo di perdere, insieme a migliaia di posti di lavoro dell’indotto, nelle quali primeggiamo perché è un lavoro che sappiamo fare, una volta tanto tra i primi nel mondo».
IL METODO. Il terzo motivo è di ordine metodologico: «È giusto affidare temi complessi come quello dei titoli concessori utili alle estrazioni di petrolio e di gas a uno strumento come il referendum? È legittimo diffondere il dubbio che l’Italia sia un paese nel quale, oggi per la burocrazia e domani per il costo dell’estrazione, non convenga investire perché è un Paese a legislazione emotiva e quindi è bene guardare fuori dal perimetro nazionale?».
GLI INDUSTRIALI. Una posizione analoga era già stata espressa dagli studi di Assomineraria, l’associazione di settore di Confindustria. In un rapporto faceva notare come le trivellazioni porterebbero vantaggi a tutti gli italiani: «I numeri sono chiari. Dai pozzi italiani nel 2014 sono stati estratti 5,7 milioni di tonnellate di petrolio e 7,3 miliardi di metri cubi di gas naturale. Cifre importanti. Perché rappresentano il 10,3 per cento del fabbisogno di petrolio e l’11,8 del consumo di gas del Paese. Tutto questo ci fa risparmiare ogni anno 4,5 miliardi di euro sulla bolletta energetica». Però «le potenzialità di miglioramento della bilancia energetica sembrano significative. Nel 2010 si stimava che i giacimenti petroliferi in territorio italiano non sfruttati valessero 187 milioni di tep, le tonnellate equivalenti di petrolio».
«MILIARDI DI RISPARMI». Il risparmio sulla bolletta potrebbe «passare da 4,5 a 9 miliardi di euro». Ecco perché, per una volta, “padroni” e “operai” si sono ritrovati d’accordo. Ma saranno gli italiani a decidere il 17 aprile con il referendum.
Foto Ansa
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7 commenti
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Assolutamente favorevole alle trivellazioni !
Di petrolio ne abbiamo troppo poco; non sappiamo cosa succederà in futuro per quanto riguarda il prezzo e la disponibilità.
Bisogna essere super prudenti ed evitare di estrarlo per un misero risparmio sulla bolletta energetica. Se capita una crisi o una guerra , potremmo ritrovarci a non avere neanche il gasolio da mettere nei trattori per arare i campi; allora si che sarà dura.
Su quel “ne abbiamo troppo poco” non so cosa credere: alcuni dicono che abbiamo il secondo giacimento per importanza d’Europa (quello più ricco è quello del Mare del Nord tra UK e Norvegia), altri che ne abbiamo poco.
In Italia abbiamo poco di tutto, però eravamo tra i primi produttori mondiali di mercurio, poi negli anni 70 abbiamo chiuso tutto e i minatori si sono messi a fare i boscaioli,
abbiamo uno dei più grandi giacimenti di antimonio (a Scansano, in Maremma), chiuso anche lui negli anni 70, in crisi di mercato. Oggi l’antimonio è ricercatissimo e pagatissimo per le nuove tecnologie informatiche, e il nostro antimonio è ancora lì sotto terra. Lo comperiamo dai Cinesi.
Le miniere di Cave del Predil e di Salafossa, nelle Dolomiti, sono lontanissime dall’essere esaurite.
Però chiusero tutte negli anni 80, nonostante le riserve ingenti accertate, solamente perché usare le miniere africane e asiatiche costa meno. Se crepano gli Africani sotto terra nessuno se ne accorge e la coscienza ecologica dell’italiano medio è vergine ed immacolata.
I numeri dicono che ne abbiamo poco: 180 milioni di tonnellate equivalgono al consumo di tre anni (60 milioni ti tonnellate all’anno); chi dice che ne abbiamo tanto è perchè ha interesse a guadagnarci sopra il prima e il più tanto possibile facendo credere a un quasi inesistente risparmio sulla bolletta energetica;
il petrolio non è come l’acqua delle dighe per le centrali idroelettriche che quando piove si rinnova, finito quel poco che abbiamo… è finito e basta; la BCE può stampare tutti gli euro che vuole e ripianare i bilanci di stati e imprese ma se il petrolio non c’è a noi ci tocca vangare o attaccare il bue all’aratro.
Fino a quando ci sono quelli che ce lo vendono, per me, è meglio usare il loro, se capitasse che non ce lo volessero dare o costasse veramente troppo allora potremo usare il nostro.
Perché nessuno ascolta Rubbia e investe nelle nuove tecnologie? Negli stati uniti lo hanno ascoltato e risparmiano un sacco di soldi, noi si va a cercare il petrolio per usarlo in motori termici con rendimento<40%…siamo nel 2016 e nadiamo aventi con motori di 100 anni fa!!!!!!
quali sono le nuove tecnologie di Rubbia?
di fatto dopo che il petrolio era arrivato a quasi 150 dollari al barile gli USA hanno investito nell’estrazione del petrolio dalle terre argillose (fregandosene altamente dei danni ambientali) e sono diventati quasi il primo produttore mondiale
Nel 2008 gli Stati Uniti producevano 5 milioni di barili di petrolio al giorno; adesso sono quasi a 10 milioni di barili al giorno che è più del 10 % della produzione mondiale.
Ti riferisci al nucleare alimentato a torio?