«Sono un professore liberal, ma i miei studenti liberal mi terrorizzano»

Di Benedetta Frigerio
19 Agosto 2015
Vietato definire una persona "povera" o di "sesso opposto". Un articolo dell'Atlantic sulle derive del linguisticamente corretto nelle università Usa. Così «non si insegna più a pensare»

Il 17 agosto 1945, usciva La Fattoria degli Animali, il celebre romanzo di George Orwell che prefigurava l’avvento di una forma di totalitarismo basato sull’annullamento del pensiero e del linguaggio. Lo stesso giorno, ma esattamente settant’anni dopo, la rivista americana The Atlantic ha pubblicato un articolo sulle allarmanti conseguenze dell’imposizione del linguaggio politicamente corretto nei campus degli Stati Uniti.

“MICRO-AGGRESSIONI”. Se nel racconto dello scrittore inglese ai vecchi comandamenti se ne sostituiscono altri come questo «tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri», nei campus e negli uffici a stelle e strisce il livellamento della realtà sta avvenendo per davvero. L’Università del New Hampshire, ad esempio, ha pubblicato di recente una guida sul linguaggio da usare in campus, scoraggiando gli studenti dal pronunciare parole come “povero” per sostituirle con espressioni tipo “persona che vive sotto la soglia della povertà”. Per nominare gli studenti provenienti dall’estero non si potrà più parlare di “stranieri”, ma solo di “persone internazionali”, mentre un uomo non potrà più descrivere una donna come appartenente al “sesso opposto” ma come persona “di un altro sesso”. Gli “obesi” vanno definiti “persone di dimensioni…” e gli “americani” come “cittadini degli Stati Uniti”. Sono poi considerate vere e proprie “micro-aggressioni” le richieste sul luogo di nascita presentate ai latino-americani, «perché ciò implica che lui o lei non sia un vero americano». In alcuni campus sono persino proibite domande retoriche agli asiatici come «non dovresti essere bravo in matematica?», perché considerate stereotipi ghettizzanti.

PRIMA DI PARLARE. Secondo la rivista, «questo nuovo clima si sta lentamente istituzionalizzando, influenzando ciò che può essere detto in aula, anche come base di una discussione». Non a caso, durante l’anno scolastico 2014-15 i presidi di dieci sedi universitarie della California hanno presentato l’elenco delle affermazioni ritenute offensive, fra cui si trovano espressioni come «l’America è la terra delle opportunità» o «credo che la persona più qualificata dovrebbe ottenere il lavoro», contraddicendo così oltre duecento anni di una tradizione fondata sulla meritocrazia. Così, continua il mensile, «si sta generando una cultura in cui ognuno deve pensare due volte prima di parlare, per timore di affrontare accuse di insensibilità, aggressione o peggio».

“EMOTIVAMENTE CORRETTO”. Nel mese di giugno, un professore, proteggendosi con uno pseudonimo, ha scritto un saggio per descrivere la censura in atto spiegando che «sono un professore liberal, ma i miei studenti liberal mi terrorizzano». Infatti, i giovani americani sono così disabituati ad ammettere le differenze e le contraddizioni che ormai sono emotivamente impreparati ad accettarle, per questo si parla addirittura del pericolo dell’“emotivamente corretto”. Basti pensare che comici famosi come Chris Rock hanno smesso di esibirsi nei campus universitari, mentre Jerry Seinfeld e Bill Maher, della serie tv Cars Getting Coffee, hanno pubblicamente condannato l’ipersensibilità degli studenti universitari, spiegando che troppi di loro non riescono ad accettare neppure uno scherzo. Insomma, arrivati all’eccesso di soffrire per ogni piccola contraddizione, si rimedia continuando a cancellare la realtà. Peccato che invece che attutirsi la sofferenza aumenti: «Secondo i principi base della psicologia, aiutare le persone con disturbi d’ansia ad evitare le cose che temono è fuorviante», così come proteggere dalla realtà chi è già fragile peggiora solo la situazione.

ISOLE FELICI. L’Atlantic ipotizza che fra gli elementi scatenanti questa sorta di psicosi vi sia la tendenza dei genitori sessantottini ad edulcorare la realtà per paura o incapacità di affrontare il male e il tentativo di rendere la vita dei loro figli sicura. Motivo per cui dopo le numerose sparatorie nei campus universitari, invece che cercare le cause, ci si è impegnati a renderli delle isole felici, rischiando di creare un mondo fittizio che non ha nulla a che vedere con quello reale con cui i giovani prima o poi si dovranno scontrare. Così come accaduto con i corsi “antibullismo” che hanno risposto al fenomeno delle discriminazioni razziali con la negazione delle differenze anziché con l’educazione a affrontarle. Conseguente a questo trend, il fenomeno del vittimismo, che ha creato una «cultura del piagnisteo» per cui tutto è permesso a chi dice di sentirsi discriminato.

INSEGNARE A PENSARE. Greg Lukianoff, costituzionalista e Ad della Fondazione per i diversi diritti in materia di istruzione, e Jonathan Haidt, psicologo ed esperto di guerre culturali in America, hanno studiato il linguaggio politicamente corretto, spiegando «i pericoli che queste tendenze comportano»: «Quali sono gli effetti di questo nuovo paternalismo sugli studenti stessi? (…) Che cosa imparano esattamente gli studenti quando spendono quattro anni o più in una comunità che sorveglia le offese intenzionali, appiccicando etichette di avvertimento sulle opere della letteratura classica, trasmettendo in ogni modo l’idea che le parole possono essere forme di violenza da sottoporre a uno stretto controllo da parte dell’autorità del campus?».
I due studiosi rispondono che per crescere individui forti è necessario fare l’opposto: «Non insegnare agli studenti quello che pensano, ma insegnare loro a pensare», secondo il metodo socratico per cui «devono mettere in discussione le proprie convinzioni non esaminate, così come la saggezza di coloro che li circondano». Ovviamente «tale discussione a volte è fonte di disagio e anche di rabbia», ma è «strada per l’apprendimento».

ALIMENTARE LE TENSIONI. Secondo Lukianoff e Haidt il danno, oltre che futuro, può essere immediato, perché la «polizia di pensiero», tipica dei regimi, «può generare modelli di pensiero sorprendentemente simili a quelli a lungo identificati dai terapeuti cognitivi comportamentali come cause di depressione e ansia», che portano «a pensare patologicamente».
Inoltre, continua la rivista, dal 2013 «una nuova pressione da parte del governo federale ha rafforzato questa tendenza». Si tratta delle decine di provvedimenti e leggi “antidiscriminazione sessuale” introdotte dall’amministrazione Obama. Basti pensare che «il dipartimento di Giustizia e Istruzione ha notevolmente ampliato la definizione di “molestie sessuali” includendovi la condotta verbale semplicemente “sgradita”». Così le università, per prevenire eventuali denunce, stanno applicando tale standard non solo alle molestie di natura sessuale, ma anche razziale o religiosa. Per evitare di urtare i sentimenti si passa dunque alla dittatura delle emozioni, in cui ognuno «dovrebbe fare affidamento sui propri sentimenti soggettivi per decidere se un commento di un professore o di un compagno è sgradito».
Ma oltre a un’incertezza e instabilità crescenti, la sostituzione della realtà con le emozioni come perno sui cui poggiare, dove «i sentimenti possono essere efficacemente utilizzati come armi», invece che diminuire le tensioni «le alimenteranno» spingendo «a coltivare una sorta di ipersensibilità che porterà ad innumerevoli e infiniti conflitti in college e fuori. Le scuole educheranno gli studenti a pensare in modi che danneggeranno le loro carriere e le loro amicizie, insieme alla loro salute mentale». Il che rappresenterebbe una grave minaccia per la «democrazia americana già paralizzata».

@frigeriobenedet

Foto da Shutterstock

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1 commento

  1. Mappo

    Se Reagan ritornasse in vita guardandosi in giro oggi probabilmente definirebbe la Russia di Putin la terra delle libertà e l’America di Obama il nuovo Impero del Male e purtroppo avrebbe ragione.

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