
Siria e islam. Quelle domande giuste a cui la Francia non sa trovare risposta

«Quale può essere, quale deve essere la risposta della Francia dopo gli attentati del 13 novembre?». È questo il grande tema che attraversa l’edizione odierna di Le Monde, come di ogni altro giornale francese e internazionale. Sulla scorta della strage di Parigi, in un editoriale, il quotidiano gauchista si fa le domande giuste ma non riesce a trovare risposte adeguate.
L’ANALISI. L’analisi del quotidiano è ineccepibile: la Francia «è in guerra», l’aggressore è «l’ultimo avatar del jihadismo islamista», lo Stato islamico, che «dispone di un territorio, a cavallo di Siria e Iraq, ha risorse e decine di migliaia di combattenti». Da domenica sera, François Hollande ha ordinato raid aerei sulla capitale del Califfato, Raqqa, ma il giornale riconosce che bombardare non basta per vincere la guerra: la coalizione guidata dagli Stati Uniti lo fa da oltre un anno, senza risultati.
LA PRIMA DOMANDA. «Bisogna aiutare le forze locali a liberare le città che sono cadute sotto il giogo dell’Isis. Ma chi – quali forze, quali milizie, quale Stato – le amministrerà?». A questa prima domanda il giornale non sa rispondere perché per farlo dovrebbe sconfessare la politica estera che la Francia conduce da almeno tre anni a questa parte.
C’è una sola forza in grado di sconfiggere lo Stato islamico in Siria, se adeguatamente sostenuta: l’esercito del dittatore Bashar al-Assad insieme ai suoi alleati sciiti (Iran e Hezbollah) e russo. L’alternativa americana, che continua a finanziare gruppi di ribelli “moderati” che scompaiono dal giorno alla notte, si è rivelata fallimentare. Ma questa è una risposta a cui la Francia non vuole arrivare. Non più tardi di ieri, il presidente della République ha ribadito che Assad «è il nemico e deve andarsene». Quale altra forza locale potrà essere sostenuta, allora?
LA SECONDA DOMANDA. C’è una seconda domanda fondamentale a cui l’editoriale di Le Monde porta senza che venga offerta una risposta. «Non dobbiamo mentire a noi stessi. Smantellare la logistica parastatale dell’Isis non basta. Poiché l’islamismo nasce da una patologia propria dell’islam, poiché l’islamismo è una ideologia totalitaria, non può che essere sconfitto dai musulmani. E noi dobbiamo aiutarli». Ma come si può aiutarli?
L’unico atteggiamento che non bisogna assumere è quello negazionista di Hollande: continuare a parlare genericamente di terrorismo, senza aggiungere l’attributo “islamico”, continuare a parlare di Daesh, invece che di Isis, con la motivazione che lo Stato islamico non ha niente a che fare con l’islam, come se non fossero gli stessi attentatori di Parigi che prima di farsi saltare in aria gridano “Allah è grande”, non può aiutare in alcun modo i musulmani.
«CRISI DELLA RAGIONE». La Francia dovrebbe piuttosto ascoltare l’imam di Nimes, Hocine Drouiche, che due giorni fa commemorando le vittime ha dichiarato: «In questo momento dobbiamo avere il coraggio e riconoscere che i musulmani non hanno mostrato un reale impegno per trovare una soluzione al grande problema della radicalizzazione e dell’odio! (…) Per secoli i musulmani hanno escluso la ragione e la razionalità dalla loro vita religiosa. Nel pensiero islamico moderno vi è una vera crisi della ragione. Di conseguenza, i musulmani vivono in situazioni paradossali non solo nei confronti dei valori islamici, ma anche dei valori europei».
NÉ MODERATO, NÉ RADICALE. Come ricordato poi un giorno prima della strage in un editoriale per Israel National News da Mordechai Kedar, esperto di islam e politica araba presso la Bar-Ilan University, «non esiste un “islam moderato” o un “islam radicale”, c’è solo un islam che incorpora entrambi, e che contiene messaggi estremamente moderati ed estremamente radicali. In pratica, noi vediamo persone con diverse culture, alcuni estremisti e altri moderati, che trovano tutti versi, idee, precedenti e leggi che sostengono la loro visione della vita e della società nello stesso Corano, negli stessi Hadith, nella stessa Sura e nella stessa Sharia».
Negare questo fatto non aiuterà in alcun modo la Francia. Ma per cambiare posizione il governo socialista dovrebbe abbandonare la retorica utilizzata fin dall’inizio del suo mandato e aiutare il pensiero islamico a uscire da quella «crisi della ragione» che lo affligge. L’ultimo discorso di Hollande dimostra che il paese dei Lumi non è ancora pronto.
Foto Ansa/Ap
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