
«Noi cristiani iracheni abbiamo bisogno di tutto. Per liberare i villaggi servono truppe di terra»

Sono 120 mila i cristiani rifugiati che vivono «in condizioni sempre peggiori» in Kurdistan, «ma queste sono solo le statistiche ufficiali perché ogni giorno c’è qualche famiglia che lascia l’Iraq». Quando descrive a tempi.it la situazione dei “rifugiati”, costretti a dormire in tende o in palazzi abbandonati senza porte né finestre, monsignor Amel Nona parla anche di se stesso. L’arcivescovo cattolico di Mosul, infatti, è stato cacciato dalla sua diocesi ad agosto e non ha più una casa al pari degli altri cristiani, costretti dallo Stato islamico ad abbandonare le proprie terre a meno di essere uccisi, pagare la tassa di sottomissione o convertirsi all’islam.
Arcivescovo, perché la condizione dei cristiani sta peggiorando?
Banalmente perché sta arrivando l’inverno e il freddo e i cristiani non hanno ancora una casa. Ma anche perché continuano a passare i mesi e non arriva nessun segnale positivo per quanto riguarda la riconquista dei nostri villaggi. Così la nostra gente sta diventando sempre più disperata: ecco qual è il problema più grande.
Di cosa c’è più bisogno?
Di tutto. C’è bisogno di aiuti materiali, perché qui manca tutto, ma ci serve anche il conforto. Come possiamo ricevere conforto se nessuno parla di liberare i nostri villaggi e la nostra terra?
Questo è l’obiettivo finale della Coalizione guidata dagli Stati Uniti.
Non riponiamo alcuna speranza nell’Occidente. È vero che i bombardamenti hanno fermato l’avanzata dello Stato islamico ma questo non basta. Per liberare i villaggi servono truppe di terra, perché l’esercito iracheno non ha la capacità di strappare tutto il terreno conquistato dai terroristi. Ma nessuno parla di truppe di terra.
Come è cambiata la sua vita da vescovo di Mosul?
Non è facile descrivere la situazione: geograficamente non esiste più alcuna diocesi. Vescovo, sacerdoti, fedeli: tutti sono stati cacciati. Il lavoro che mi è chiesto di fare per i miei fedeli è cambiato: ora io devo servire i rifugiati ma è molto difficile da descrivere. Siamo in costante attesa che cambi qualcosa, ma quando cambierà non lo sappiamo.
Il patriarca Louis Mar Raphael I Sako ha detto più volte che i cristiani in Iraq hanno bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa. Quanto è stata importante per voi la recente visita di una delegazione francese a Erbil?
È stata molto importante perché la gente ha bisogno di essere confortata e di sentire che i cristiani sono con loro e pensano a loro. Sono arrivate circa 80 persone e la gente ha sentito la vicinanza dei cristiani all’estero. Inoltre, abbiamo pregato insieme, detto Messa, camminato in processione con la Madonna: tutto questo ci ha aiutato molto.
Tra due settimane si festeggia il Natale. Che cosa significa per voi oggi celebrare la nascita di Gesù?
Noi aspettiamo che Gesù nasca tra i rifugiati. È la prima volta che viviamo l’Avvento fuori dalla nostra terra, lontano dalle nostre case e dalle nostre chiese. Noi aspettiamo che Gesù bambino ci dia la forza di continuare a vivere la fede e tutto ciò che la fede chiede.
Nel 2011, parlando a tempi.it, affermava di quanto fosse triste per voi non poter celebrare la Messa notturna del 24 dicembre a causa di problemi di sicurezza. Tre anni dopo, non avete neanche più le chiese dove dire Messa. Avete ancora speranza?
La situazione è difficile ma la nostra gente ha molta fede. La speranza in Dio c’è sempre e c’è perché abbiamo fede e abbiamo fiducia che Dio ci darà la forza di vivere e di andare avanti nonostante tutte le difficoltà. È la fede che ci dà la forza di continuare a vivere.
Che cosa chiedete all’Occidente?
Ai cristiani occidentali chiediamo due cose. La prima è di vivere la fede con forza, di non essere deboli davanti ai credenti delle altre religioni, di non vergognarsi della loro fede e di viverla in tutti i dettagli della vita quotidiana. Se vediamo che i cristiani occidentali vivono la fede con forza e coraggio, e sono felici, allora ci sentiamo confortati.
La seconda cosa?
Chiediamo ai cristiani di non essere sordi alle necessità dei loro fratelli iracheni, che hanno bisogno di conforto e aiuto.
Le voci che circolano sulle chiese di Mosul sono vere?
Sì: sono state tutte chiuse, alcune trasformate in prigioni. Di recente, un monastero delle suore del Sacro cuore di Gesù è stato fatto saltare in aria. Altre ancora sono state occupate dai militanti islamici.
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6 commenti
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servono truppe di terra? e con checco come la mettete?
Cosa vuoi insinuare?
Sii esplicito.
Se si mandano truppe di terra – come sembrerebbe necessario -, l’opinione pubblica dei Paesi impegnati nell’operazione si ribella per i più diversi motivi – umanitari, politici, perdite in vite umane “per il petrolio” curdo, irakeno, ecc…; l’islamismo parlerebbe di “Crociata” e “invasori che calpestano il sacro suolo dell’Islam e l’occupazione rischierebbe di diventare sine die; i complottisti, di “scontro di civiltà che rinfocola l’odio fra i popoli”; mentre, se si bombardano i terroristi con arei, missili o droni, è la prova che “non si vuole combattere sul serio gli amici delle ‘triade diabolica’” e si rinfacciano le vittime collaterali. Insomma, ogni occasione è buona, perché qualunque cosa si faccia, la colpa sarà sempre, solo e comunque degli occidentali.
E’ vero, caro Raider: poveri, teneri occidentali. Sono loro infatti che muoiono ogni giorno di fame, di stenti, bombardati o massacrati da eserciti di esquimesi.
Il tenerume nel cervello di gente con la testa al Piano trova modo di attaccare le persone e non gli argomenti che esse portano e men che meno quelli di cui si parla nell’articolo.
Comunque, siccome
povertà, fame, miseria e stenti non sono roba di oggi o di ieri né solo frutto della perfidia degli occidentali;
siccome a sollevarsi in armi sono i musulmani, non gli induisti o i buddhisti e neppure i cristiani;
siccome i musulmani non se la passano peggio di altri;
né mancano fra di essi poveri in canna (ma non di fucile) casi di gente istruita e bene inserita nei rispettivi Paesi d’origine o d’adozione: la polemica è molto più circoscritta, anche senza assolvere l’Occidente dalle sue colpe, ma senza addossargli la responsabilità di problemi e ritardi storici in grado di spiegare, nelle loro connessioni, molte più cose di quelle che si vorrebbe spiegare in modo così sommario, quando non con un Piano o un altro Piano, ché spazio nelle teste vuote ce n’è.
Tanto è vero che si stabilisce, al Piano all’altezza di così elevati ingegni, che i jihadisti sono pagati dall’Occidente o in ogni caso, che sono “oggettivamente” al suo servizio, che fanno gli interessi dell’Occidente: poi, però, gli stessi che li hanno assolti facendone “vittime” come (se non peggio di) coloro che i jihadisti fanno a pezzi per la gloria di Allah, ecco che, in un battibaleno, per nobili fini di polemica all’ingrosso e al minuto, i jihadisti sono trasformati in “resistenti” contro l’Occidente che li finanzia e li arma.
E insomma, secondo come gli gira e come gli va ai paranoici, i jihadisti sono eroici combattenti per la libertà dei popoli – come tendono a farsi pubblicità: e gli spot li conosciamo -; e nello stesso tempo o un attimo dopo, sono terroristi prezzolati.
E infatti, gli appelli alla pace e alla fraternità universale vengono da gente che invoca come atto massimamente cristiano la guerra non solo contro la “traide diabolica”, ma, da un po’ di tempo a questa parte, anche contro i protestanti. Compresi quelli che vivono nel Terzo Mondo: massacrati anch’essi come tutti gli altri dai combattenti jihadisti buoni per tutti gli usi consentiti dalla mistificazione ideologica paranoica.
il papa ha dichiarato che difendersi è un diritto ma occorre farlo senza armi. il vescovo di Mosul chiede un intervento militare per poter difendere i cristiani. sono due affermazioni una contraria all’altra.