Nello scontro tra Napoli e Pontida sarà ancora il Sud a perdere

Di Alfredo Mantovano
22 Aprile 2017
Come sempre manca una discussione che prenda le mosse dai torti patiti dal Mezzogiorno ma non ne faccia occasione per recriminazioni sterili

Salvini

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – E così, per “ricambiare” la contestata visita del segretario della Lega Salvini a Napoli dell’11 marzo, sabato prossimo i centri sociali napoletani, in compagnia di “sudisti” di vario tipo, si sono dati appuntamento a Pontida, per un “corteo antirazzista”, e forse pure per un concerto. Lo spettacolo nell’insieme è triste: è triste che – come è accaduto a Napoli – si tenti, ricorrendo pure alla violenza, di impedire la manifestazione politica del leader di un partito, col sindaco di quella che era la capitale del Regno in testa alle proteste.

È triste che per reazione si vadano a sfruculiare i leghisti nel loro luogo simbolo. È triste che a Pontida la manifestazione del 22 sia accompagnata da una sorta di coprifuoco, con la chiusura degli esercizi commerciali e del centro storico. Ciò che rende ancora più triste l’insieme è che resti fuori la vera materia del contendere, ciò su cui sarebbe essenziale la discussione, se necessario accesa. Sabato e domenica i titoli dei tg saranno dedicati alle polemiche fra De Magistris e il sindaco di Pontida, ai numeri dei partecipanti, agli eventuali danni causati. Continuerà a stare ai margini un tema assente da anni dall’agenda politica nazionale: il Sud.

Una parte di coloro che a Napoli hanno contestato Salvini hanno rievocato i torti subiti dal Mezzogiorno al momento dell’Unità, e hanno voluto manifestare contro quella che hanno inquadrato come una nuova invasione. A Napoli l’11 marzo e probabilmente a Pontida sabato prossimo fra i protestatari vi è stato e vi sarà Eugenio Bennato, che è il contrario della violenza, e che alla “conquista del Sud” e alle ragioni dei meridionali ha dedicato bellissime canzoni. Al netto dei De Magistris – il cui punto di riferimento storico sembra più Masaniello che Liborio Romano – e delle varie denominazioni di antagonisti che cercano solo un pretesto per occupare le piazze, il dato che sfugge è che da anni nessuno si occupa più del Sud. La mancanza di riflessione, e di coerente ricaduta politica, riguarda in primis chi vive e opera nel Mezzogiorno.

Non si comprende,
a fronte di una Lombardia e di un Veneto che viaggiano a livelli superiori alla media europea, quale è il modello di sviluppo cui orientare le regioni sotto il Garigliano; a fronte di fondi europei di notevole consistenza indirizzati al Sud, perché se ne continua a utilizzare una minima parte e non ci si attrezza, in competenze e capacità, per evitare la loro dispersione o restituzione, salvo poi lamentare la carenza di risorse;
a fronte di una rete di trasporti fra il Centro e il Nord efficiente e rapida, perché non ci si industria a superare il gap delle infrastrutture che persiste, con le regioni meridionali che al massimo hanno sostenuto – in spregio alla concorrenza – qualche compagnia aerea low cost non italiana;
a fronte di una morsa di criminalità di tipo mafioso che aveva conosciuto tra la fine dello scorso decennio e l’inizio di questo un contrasto organici e risultati importanti, perché questa indispensabile opera di bonifica è stata abbandonata;
a fronte di un’offerta degli atenei del Sud che privilegia ancora corsi di laurea in materie letterarie desueti e inutili, perché non ci si dedica a formare le professionalità necessarie per lo sviluppo dei territori, con insegnamenti specialisti mirati;
a fronte di un rapporto fra l’Unione Europea e gli Stati nazionali, quindi pure l’Italia, la cui dinamica ricorda – se pur con tratti meno cruenti – quello fra i Savoia e il Sud d’Italia negli anni dell’unificazione forzata, perché non ci si rende conto che beccarsi fra parti diverse della nostra Patria è il favore più grande che si può fare a certe burocrazie di Bruxelles.

Insomma, quello che a Napoli, o a Pontida, o dove volete, manca è un approfondimento, esso sì finalmente unitario, che prenda le mosse dai torti patiti dal Sud un secolo e mezzo fa ma non ne faccia occasione per riproporre nostalgie lamentose e recriminazioni sterili. Che parta da una memoria storica finalmente rispettata e risponda nel concreto, oggi, alla domanda fondamentale sul come impedire che l’Italia viva sempre più divisa a metà.

Foto Ansa

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