
Mantovano: Non è stato come a Genova, ma c’è chi ha cercato il morto
«Abbiamo visto materializzarsi una nuova forma di terrorismo, che potremmo chiamare terrorismo urbano», ha commentato così Roberto Maroni, nella sua informativa al Senato sulla manifestazione di Roma. Il ministro dell’Interno ha denunciato la «cieca violenza di 3.000 incappucciati che ha oscurato la protesta di migliaia persone che volevano solo manifestare» e ha annunciato una serie di misure legislative ad hoc: arresto in flagranza differita, Daspo anche per i cortei, introduzione di un reato associativo per chi esercita violenza aggravata nelle manifestazioni e maggiori tutele giuridiche per i poliziotti.
Tempi ha chiesto un parere al sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano (Pdl), delegato per le materie di competenza del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. «Le nuove disposizioni non sono piovute dall’alto, ma sono state precedute, seppur in modo rapido, da un processo di consultazione e discussione con tutte le forze politiche, anche con quelle di opposizione. Questo è in linea con uno sforzo che è stato sempre fatto quando si parla di sicurezza, col risultato a far sì che la gran parte dei provvedimenti siano poi stati approvati all’unanimità, senza far venire meno la qualità dei provvedimenti stessi, penso ad esempio al piano straordinario antimafia».
Onorevole Mantovano, perché le leggi attuali non sono sufficienti?
I fatti non solo di sabato, ma degli ultimi mesi, hanno rivelato che alcune armi sono ormai spuntate. Un esempio concreto: a Pomezia, il giorno prima della manifestazione, i carabinieri hanno fermato una macchina con quattro giovani, tutti con precedenti di violenza. Nel bagagliaio avevano maschere antigas, petardi, fionde, caschi, bastoni. E non hanno potuto fare nulla. Se c’è una chiara evidenza di intenzioni, soggetti del genere andrebbero trattenuti almeno fintanto che la manifestazione è in fase di svolgimento. L’arresto in flagranza differita ha dato invece ottima prova di sé nella gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni sportive. È uno strumento fondamentale, perché se un violento si fa scudo con manifestanti pacifici, intervenire in quel momento significa ledere chi intende manifestare legittimamente il proprio dissenso».
Maroni ha specificato che «nessun violento proveniva dall’estero». Dopo i fatti del G8 di Genova del 2001, il termine black bloc è una semplificazione giornalistica o una realtà radicata anche in Italia?
I black bloc non esistono più da anni. Il filo conduttore è quello delle realtà di galassia anarchico-insurrezionalista. Con tutta una serie di precisazioni: quello che è nato qualche decennio fa come movimento spontaneistico (da cui la dizione anarchico) in realtà adesso ha una struttura organizzativa, seppur elementare, con un coordinamento che si occupa dei collegamenti con le altre nazioni. Un po’ di ordine anche del linguaggio non guasterebbe.
Ritiene che per garantire la sicurezza dei cittadini i centri sociali vadano chiusi?
Sono contrario. Non si deve passare dall’apologia della bomba incendiaria all’apologia del manganello. Vanno chiusi quei centri sociali al cui interno vi sia la presenza di strumenti tesi a ledere le persone, ma la categoria “centro sociale” in quanto tale non va criminalizzata. È profondamente sbagliato: è come dire che tutti i manifestanti erano dei violenti.
Si è parlato di buchi del piano sicurezza, facendo riferimento alle pagine che il questore di Roma, Francesco Tagliente, ha inviato ai commissariati e ai comandi il giorno prima degli scontri per stabilire come distribuire le forze in campo. Alcuni agenti di polizia hanno parlato di «direttive irresponsabili: hanno difeso i palazzi, non i cittadini». Si poteva fare di più?
L’ordine pubblico è un’attività molto complessa: dopo, a tavolino, sono bravi tutti. Prima e durante, non è altrettanto semplice. Le informative c’erano, e davano, tra gli altri, due segnali di allarme: uno riguardante le sedi istituzionali, che si possono anche definire “palazzi del potere”, ma non per questo si possono violare. Immaginiamoci il senso di sconfitta dello Stato se ci fosse stata, come si è tentato di fare, l’occupazione del Senato. Aver adottato dei dispositivi a tutela di queste sedi istituzionali ha significato rispondere a un segnale dall’alto. La seconda spia rossa era l’annuncio, che circolava on-line, di voler a tutti i costi cercare il morto. Con l’aiuto di Dio anche questo pericolo è stato scongiurato. Certo tutto è perfettibile, ma credo che facendo un confronto col G8, che viene costantemente evocato, il bilancio in termini di professionalità, competenza, e anche generosità delle forze di polizia, sia assolutamente positivo.
A scendere in piazza non sono stati solo gli indignados, ma anche i sindacati della Polizia di Stato, che ieri hanno protestato contro i tagli al bilancio. Maroni ha annunciato di aver chiesto l’azzeramento dei tagli previsti per il comparto sicurezza nella manovra per i prossimi anni: giusto in tempo?
Nel momento in cui la piazza diventa il luogo nel quale vengono scaricate le tensioni derivate dalla mancata soluzione in altre sedi, sui tavoli della politica e della finanza europea e internazionale, è impensabile non dotare chi tutela la sicurezza di tutti (dei dimostranti, dei cittadini che vivono in quella parte di territorio) dei mezzi adeguati per poter fronteggiare questo tipo d aggressione. Applicare criteri contabili per affrontare queste emergenze, significa non tener conto della gravità del momento.
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