Lucio Dalla. Successi, dischi e carriera di un mito della musica

Di Carlo Candiani
02 Marzo 2012
Lucio Dalla ha lasciato questo mondo a ridosso del suo sessantanovesimo compleanno. Ripercorriamo la vita e le opere di un cantante anticonformista e sperimentale, strocato da un infarto durante un tour in Svizzera. Dalla è stato capace di unire la generazione dei Guccini, De Andrè, De Gregori e Battisti a quella dei Bersani, Carboni e Ron.

[internal_video style=”height: 245px; width: 364px; float: left; margin-right: 10px; margin-top: 5px;” vid=24465]Lucio Dalla è morto. Lo avevamo visto qualche giorno fa durante il Festival di Sanremo, dirigere l’orchestra che accompagnava il brano di Pierdavide Carone, Nanì, di cui era anche coautore, e mai avremmo pensato che fosse l’ultima volta che l’avremmo visto con quell’aria furbetta e disincantata.

Lucio Dalla ha lasciato questo mondo a ridosso del suo sessantanovesimo anno, una data che è rimasta anche nella storia della canzone italiana: 4 marzo ’43.

Un infarto durante un tour in Svizzera ha stroncato il grande cantautore bolognese, uno che ha fatto, realmente, la storia della musica pop italiana. Un artista che era partito dalla passione del jazz, suonando da giovane nelle orchestre di balera su e giù per la Romagna, e poi, grazie anche a quella sua immagine un po’ buffa, era diventato un personaggio di rottura nella melassa melodica che dominava la canzonetta commerciale degli anni ’60.

Alcuni storsero il naso quando lo videro varcare il palco dell’Ariston, sempre durante la gara del Festival, con pezzi musicalmente trasgressivi, al limite dello sperimentale, e testi che esprimevano la sua vena ironica, e assurdamente comica: “Quand’ero soldato”, “Paff bum” erano eredità della tradizione beat italiana, quella dei Rokes, dei Giganti, in qualche misura di Adriano Celentano, senza però pretendere di essere un santone come spesso è capitato al Molleggiato.

Dalla faceva (fa) parte di quella genìa di cantanti-autori ancorati alla tradizione americana, ma che erano capaci di assumere come delle spugne tutta la bellezza delle romanze operistiche dell’Ottocento italiano. Suoi contemporanei sono Guccini, De Andrè, quel Battisti che nacque proprio un giorno dopo di lui, il 5 marzo del 1943, Lauzi, Paoli, Gaber. Ma Dalla è stato anche maestro per la nuova generazione: Samuele Bersani, De Gregori, Carboni e, soprattutto Ron. Con lui scrisse e produsse titoli indimenticabili: Piazza Grande, Il Gigante e La Bambina. Una collaborazione che, partita alla fine degli anni ’60, è continuata fino a oggi.

C’è un’altra collaborazione importante per Dalla: è quella con Gianni Morandi. Quest’ultimo, puro interprete, ha portato al successo “Occhi di ragazza” e deve a Lucio la sua rinascita artistica, nella seconda metà degli anni ’80: un tour e un album insieme. Altra collaborazione fondamentale del grande Lucio, è quella con Francesco De Gregori: i due artisti furono i primi cantautori, nel 1978, a riempire gli stadi con i concerti di “Banana Republic”. Dopo anni di contestazioni, dove si pretendeva in maniera violenta l’autoriduzione del biglietto d’entrata, ritenendolo segno dell’odiata borghesia (ne fece le spese proprio De Gregori, processato sul palco), il duo girò l’Italia, cantando con nuovi arrangiamenti i loro classici. Fu un successo strepitoso anche discograficamente. Il disco che documentava il live uscì nei negozi alla fine di luglio e balzò immediatamente nei primi posti delle classifiche.
Negli ultimi due anni Dalla e De Gregori si sono riproposti in coppia con un buon successo. Un musicista, Lucio, anzi, un polistrumentista, e un originale paroliere.

Consegnatosi prima ad autori popolari, Dalla a metà dei 70 si affidò ai testi di Roberto Roversi, un poeta un po’ ermetico, che aiutò il musicista bolognese ad uscire dalla figura prettamente commerciale, per regalargli un aura di cantore adulto: “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride Solforosa”, “Automobili”, erano ellepì che contenevano testi e musiche non facilissimi al primo ascolto, ma avevano indubbiamente un fascino, che coinvolse all’ascolto una moltitudine di giovani alla ricerca di un prodotto musicale di spessore.

Ma la carriera di Dalla è consegnata all’immaginario collettivo, con la realizzazione del suo disco, intitolato semplicemente con il suo nome e cognome. Anno 1979: “L’anno che verrà”, “Cosa sarà”, “Anna e Marco”, titoli scolpiti nella memoria di milioni di italiani. Due anni dopo: ecco “Dalla” con “Balla balla ballerino”, “Cara”, “Futura”, encora applausi dai fan, che aumentano sempre più fedeli, a quel cantante piccolino, rotondetto, con un copricato in lana sempre calcato in testa, per nascondere la prematura perdita dei capelli e una barba folta e nera, che gli circondava il volto in maniera disordinata e un pelame diffuso, anche sulle spalle scoperte spesso dall’uso di canottiere a righe.

Poi tante uscite quasi annuali, che trasformarono la sua produzione da mitica a composizioni più standard, la vena era sempre sveglia ma meno incisiva, anche se la zampata del grande autore era sempre dietro l’angolo: “Caruso” è lì a dimostrarlo.
Gli ultimi anni sono, effettivamente crepuscolari, e il motivo musicale indimenticabile non riesce più a far capolino.

Avremo modo di approfondire nei prossimi giorni la vita e la carriera artistica di Lucio Dalla, tante sono le cose ancora da raccontare, non ultimo il suo cattolicesimo mai nascosto e vissuto nel pudore sincero della sua sensibilità.

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