Livadiotti: «La magistratura è un sistema talmente malato e marcio che va cambiato»

Di Chiara Rizzo
10 Febbraio 2012
Intervista a Stefano Livadiotti, giornalista dell'Espresso che ha scritto il libro inchiesta "Magistrati. L'Ultracasta": «È inutile chiedere una maggiore severità della sezione disciplinare del Csm: il 93 per cento dei procedimenti non vengono neanche ammessi».

Stefano Livadiotti, giornalista de l’Espresso, è autore di numerose inchieste. Una di queste, molto densa, è sfociata qualche anno fa in un libro di successo: Magistrati. L’Ultracasta. Livadiotti, infatti, per primo è entrato nelle segrete della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, rivelando gli aspetti significativi, e spesso involontariamente comici, della giustizia italiana quando è esercitata nei confronti di colleghi togati. Eppure oggi l’intervento disciplinare severo è da alcuni, ad esempio dal vicepresidente del Csm Michele Vietti, additato come esempio che la giustizia sui magistrati funziona, e che non occorre l’introduzione di una responsabilità civile dei magistrati.

Data la sua conoscenza del sistema disciplinare e giudiziario, da osservatore esterno cosa ne pensa dell’emendamento che introduce la responsabilità civile diretta per i magistrati?
Vorrei ricordare a chi (compresa l’Anm di Palamara) parla di intimidazione, ritorsione o vendetta sulla magistratura che la responsabilità civile è stata votata con una maggioranza schiacciante nel referendum del 1987, in cui parteciparono 26 milioni di italiani: e l’80 per cento votò sì. I magistrati devono pagare come qualsiasi professionista. La reazione a questo emendamento mi sembra il solito tentativo dei magistrati di mantenere dei privilegi ammantando tutto, come al solito, con la scusa dell’indipendenza della magistratura. Non penso affatto che ci saranno magistrati che firmeranno sentenze con mano tremolanti: non è che i chirurghi hanno smesso di operare perché sono responsabili direttamente. Dal 1988, quando è nata la legge Vassalli n.117 che ha introdotto la responsabilità civile per i giudici dopo il referendum, lo Stato si è rivalso sul magistrato in 4 casi. Praticamente mai. Si vede che così non funziona.

Chi è contrario alla responsabilità civile diretta del magistrato ammette il problema ma sostiene che piuttosto si deve intervenire con una maggiore severità della sezione disciplinare. Cosa ne pensa?
Potrei essere anche d’accordo, se ci fosse una sezione disciplinare che funzionasse. Tra il 1995 e il 2002  i magistrati che hanno perso la poltrona per un procedimento disciplinare sono stati lo 0,065 per cento. A titolo d’esempio ne L’Ultracasta raccontavo il caso di un magistrato pedofilo sorpreso nei bagni di un cinema: al Csm sono riusciti a riabilitare persino lui, è evidente che la disciplina non funziona. Rinviare la soluzione alla maggiore severità della sezione disciplinare mi pare il solito sistema di dire di no. Solo che appena le toghe hanno detto che sarebbero saliti sulle barricate contro la responsabilità civile, anche il governo dei tecnici, come prima quelli politici di centrodestra o di centrosinistra, ha fatto un passo indietro. Questo dimostra che la politica ha paura della magistratura.Credo che se oggi si rivotasse quel referendum dell’87, gli italiani sceglierebbero di nuovo per la responsabilità civile: perché non capiscono il motivo per cui una casta non vada punita. 

Come commenta i dati sui procedimenti disciplinari avviati nel 2011 e resi noti dal Procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito, all’apertura dell’anno giudiziario 2012?
Oggi, proprio come tre anni fa quando scrissi il mio libro, il 93 per cento dei procedimenti non supera neppure il filtro della Cassazione, che decide se la pratica merita di andare al Csm oppure no. Per quanto riguarda poi gli esiti dei procedimenti, nel mio libro scrivevo che tra il 99 e il 2006 c’erano stati 1.004 procedimenti disciplinari. L’80,9 per cento di questi è finito con assoluzione o proscioglimento. Per quanto riguarda le condanne invece: 126 magistrati sono stati puniti con l’ammonizione, un richiamo lieve; 38 con la censura, quello che definisco una “tirata d’orecchie” più forte; 22 i magistrati puniti con la perdita di anzianità, 2 con la rimozione e 4 con la destituzione. Mi pare che i numeri parlino da soli. Dei dati citati dal pg di Cassazione dico anche che non mi pare una buona notizia nemmeno «il sensibile aumento delle iniziative per “violazione di norme processuali penali e civili”» o le «abbastanza elevate percentuali di procedure “per commissione di reati” e “per ritardi e negligenza nelle attività d’ufficio”». I ritardi non vanno sottovalutati: ricordo il caso, ad esempio, di un extracomunitario che rimase 15 mesi in più in carcere per colpa di un ritardo nel deposito degli atti da parte del magistrato. Ci vanno di mezzo le vite, per un ritardo. Ora però passiamo dal magistrato cialtrone a uno anche peggiore. Quando ho scritto L’Ultracasta, ho parlato anche di una carriera in cui automaticamente, dopo 28 anni dalla prima volta che si indossava la toga, e con qualsiasi incarico, si arrivava comunque all’apice per grado e stipendio. È come se un giornalista, appena assunto, sapesse a priori che dopo 28 anni di carriera arriverebbe alla qualifica, allo stipendio e al grado del direttore del Corriere della Sera. Quando in una professione si sa di andare avanti a prescindere dall’incarico e dalla bravura, le cose come funzionano? Uno giustamente se ne va a giocare a tennis. La carriera automatica è il primo de-motivo per cui non funziona la magistratura. Aggiungiamo  il fatto che gli esami per passare da un livello all’altro sono stati per decenni una farsa, e che la sezione disciplinare del Csm non funziona, e il gioco è fatto. La magistratura è un sistema talmente malato e marcio che va cambiato. Ci fu una sentenza del Csm, ricordo, che stabiliva il numero di ore lavorative di una toga: 1560 ore all’anno. Una media di 4, 2 ore al giorno cioè. Dopo ci credo che abbiamo milioni di processi arretrati. È davvero un’ultracasta: e direi proprio che lo è rimasta. Infatti dinanzi all’ennesima proposta che intacca un loro privilegio hanno ripreso a minacciare.

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