“Liceo breve”, spiraglio per un rinnovamento scolastico

Di Francesca Parodi
10 Agosto 2017
Al via la sperimentazione su 100 scuole per un corso di studi superiore di quattro anni. Secondo Pellegatta, Direttore della rivista "Dirigere scuole” , «non è una questione di quantità di anni scolastici, ma di qualità della didattica»

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«La sperimentazione del “liceo breve” è un ottimo segnale di un cambiamento che consentirà un rinnovamento tanto atteso del sistema scolastico. Certo, è solo un primo passo e c’è ancora molto da fare, ma siamo sulla buona strada». Così Roberto Pellegatta, direttore della rivista Dirigere scuole, commenta l’iniziativa del ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli che questa settimana ha firmato un decreto che permetterà a cento licei italiani di sperimentare un corso di studi quadriennale al posto del tradizionale quinquennio. «Anzi, secondo noi si tratta di un’iniziativa troppo timida e vorremmo che venisse allargata con maggior coraggio. Siamo d’accordo con l’assessore dell’Istruzione della Lombardia, Valentina Aprea, nel dire che cento scuole sono troppo poche per una sperimentazione nazionale».

Sottrarre un anno alle superiori, sottolinea Pellegatta, consentirà di rendere i nostri studenti più allineati con il resto d’Europa perché è vero che in alcuni paesi, tra cui quelli scandinavi, gli studenti escono dalle superiori a 19 anni, come in Italia, ma la differenza è che da loro il bambino comincia la scuola a sette anni. Tuttavia la portata di questa sperimentazione non si conclude nella semplice riduzione di un anno scolastico, ma, spiega Pellegatta, va a toccare la struttura stessa e il funzionamento del sistema scolastico. «La riforma è uno spiraglio per promuovere finalmente un rinnovamento didattico in un sistema che per anni e anni è rimasto fossilizzato». Concentrare gli studi in quattro anni significa innanzitutto rivedere i piani didattici, aggiornare i curricula e le modalità di insegnamento. Per gli istituti tecnici in particolare, sostiene Pellegatta, il corso di studi dovrà puntare molto di più sulla preparazione pratica e professionale degli studenti. «Il grosso problema della scuola è che affronta troppo tardi il problema del lavoro. Questa misura accelererà i tempi per l’ingresso nel mondo del lavoro, contribuendo così ad abbassare la dispersione scolastica». Per esempio, suggerisce Pellegatta, la compressione a quattro anni potrà portare i ragazzi a vivere esperienze di lavoro già al primo anno e non al secondo. Per quanto riguarda i licei, Pellegatta sostiene che è necessario un rinnovamento nel metodo di insegnamento. Il direttore fa notare che il nostro modello scolastico punta troppo sullo studio mnemonico di teorie e pochissimo sullo sviluppo di competenze. «Si impara in maniera impeccabile il ragionamento intorno a una formula matematica, ma poi non si sa risolvere un problema. Così come lo studio minuzioso della grammatica non è sufficiente per saper scrivere un buon testo. Serve un nuovo metodo che non badi tanto alla ripetizione di teorie, ma si concentri soprattutto sull’acquisizione di abilità».

Ovviamente, riconosce Pellegatta, questo accorciamento del corso di studi da solo non basta, ma «dovrà essere agganciato ad un rinnovamento dell’università e degli istituti tecnici superiori di specializzazione, dove troppi sono gli studenti fuoricorso». Si sta parlando di radicali cambiamenti che necessiteranno di molto tempo, «ma dobbiamo cominciare oggi ad aprirci ad un rinnovo della didattica che in Italia è ancora congelata, astratta e lontana dalla vita reale».

La necessità di riformare completamente il sistema scolastico è sentita da moltissimi anni. Berlinguer aveva proposto una nuova struttura basata su due cicli: il ciclo primario, della durata di sette anni, avrebbe sostituito le elementari e le medie; il ciclo secondario sarebbe stato composto da un biennio con insegnamenti comuni e un triennio in cui lo studente avrebbe potuto scegliere una specifica area (scientifica, umanistica, artistica, tecnica o musicale). La proposta di riforma fu però bocciata. Pellegatta preferisce richiamarsi al modello proposto dall’allora ministro Moratti: strutturare le elementari, medie («altra zona grigia che ha un profondo bisogno di rinnovamento») e superiori in  quattro anni ciascuno, cosicché gli studenti concludano gli studi a 18 anni. Ma neanche quella riforma passò. «L’Italia è un paese estremamente conservativo e la scuola è l’ambito più conservatore di tutti» commenta Pellegatta. Chi contrasta la sperimentazione del “liceo breve”, sostiene il direttore, sono i sindacati perché comporterebbe un taglio di docenti. Il Sole 24 Ore ha infatti calcolato che con questa misura ci sarebbe un risparmio di 1,38 miliardi di euro, in particolare per la riduzione del numero di insegnanti. Altri contrari, aggiunge Pellegatta, sono quelli che vogliono difendere “il mito” del liceo classico quinquennale oppure che temono una diminuzione della quantità di studio. «Non si tratta però di quantità di anni scolastici, ma di qualità della didattica. Concentrare gli anni di studio può aiutare a rivedere la qualità della metodologia».

@fra_prd

Foto Ansa

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