La verità vi farà liberi. La resistenza di Aldo Gastaldi “Bisagno”

Di Matteo Fanelli
17 Agosto 2015
Al Meeting di Rimini sarà proiettato il film sulla vicenda di un eroe della resistenza "sui generis": cristiano, italiano, partigiano
Aldo

bisagno

La Resistenza viene quasi unanimemente riconosciuta come l’origine della democrazia del nostro Paese. Eppure, della lotta di liberazione dei partigiani ci hanno raccontato forse un po’ troppo spesso parte della verità, facendola apparire come appannaggio di una specifica fazione politica.
Ma ci sono storie che nascono dalla Resistenza e che sono in grado di volare molto più in alto rispetto agli steccati ideologici. È questo il caso di “Bisagno”, nome di battaglia di Aldo Gastaldi, capo partigiano in Liguria e protagonista del film-documentario di Marco Gandolfo, che verrà proiettato al Meeting di Rimini il prossimo 24 agosto.

Aldo Gastaldi, nipote di Bisagno, che porta il suo stesso nome, ci tiene fin da subito a precisare dicendo a tempi.it che «non si tratta di un film contro qualcuno, né rappresenta il tentativo di costruzione di un mito. È un film per la Gloria di Dio».
Il film nasce proprio dall’amicizia tra Aldo Gastaldi e il regista Marco Gandolfo, che racconta a tempi.it: «Quando ho conosciuto la famiglia Gastaldi mi sono reso conto che c’era una Resistenza che non era solo politica, ma che aveva a che fare con la fede, e che c’era un patrimonio di grande umanità da poter far conoscere».

In effetti, si possono utilizzare tre aggettivi per descrivere Bisagno, che difficilmente troviamo accostati quando si parla di Resistenza: cristiano, italiano, partigiano.
Aldo Gastaldi è un militare dell’Esercito Italiano quando l’8 settembre del ’43 viene data la notizia dell’armistizio. Egli raduna un gruppetto di uomini e comincia la lotta andando in montagna, dove prende il nome di battaglia di Bisagno e dove comanderà la Divisione Cichero.

Il film di Gandolfo risulta molto curato dal punto di vista storico. Ricostruisce i vari momenti della lotta partigiana, specialmente in Liguria, ma soprattutto dà voce ai testimoni dell’epoca, per la maggior parte compagni di battaglia di Bisagno, che passo dopo passo fanno emergere la figura di un uomo dal grande carisma e con un eccezionale senso della giustizia e amore alla dignità della persona.

«Quando c’era Bisagno c’era festa nel distaccamento: la festa perché è arrivato il papà», racconta Bisturi, partigiano dalle origini ebraiche, nel film. Egli dimostrava grande attenzione nei confronti della vita delle persone, a cominciare dai propri soldati. Per questo era amato e rispettato da molti, oltre ad essere riconosciuto come un grande comandante che, con eccezionali doti operative, teneva in piedi la sesta zona. La Divisione Cichero comandata da Bisagno era molto più di un corpo militarmente organizzato, era una scuola di vita.

«Bisagno aveva uno sguardo che ti perforava le membra, ti sentivi letto dentro», dice Caronte, un altro compagno d’armi, mentre sempre Bisturi documenta questo sguardo raccontando in lacrime l’episodio forse più commovente del film. Il cuore del film è proprio questo sguardo, tanto accogliente quanto deciso, in grado di lasciare un segno nella vita di molte persone che lo hanno incrociato.

Bisagno preferiva sempre sacrificarsi in prima persona, e la sua linea era di valutare con molta attenzione se un’azione di battaglia avrebbe potuto mettere a rischio la vita anche di uno solo dei suoi soldati. Cosa davvero incredibile, se si pensa che stiamo parlando di un contesto di guerra, è che Bisagno dimostrava lo stesso rispetto anche nei confronti dei nemici.

Bisagno muore giovanissimo non molto tempo dopo la Liberazione, in circostanze mai chiarite in modo convincente. La versione ufficiale parla di un incidente, quella ufficiosa di un atto voluto. Bisagno, infatti, si era dimostrato fin da subito contrario alla propaganda dei partiti nelle formazioni partigiane, inimicandosi alcuni capi del Cln che volevano metterlo da parte, anche per il grande seguito che aveva tra i combattenti. Il film dà conto di tutto ciò, ricercando la verità e sfidando lo spettatore a dare un giudizio, senza mai cadere nella retorica complottista.

Un film da vedere, per conoscere un lato della Resistenza poco esplorato, ma soprattutto per scoprire la storia di un uomo in lotta per la libertà, così come la descrive la poetessa Elena Bono, citando il Vangelo: «La verità vi farà liberi. Questa era la libertà che cercava Bisagno, fondata sulla verità, non sulla menzogna».

@matteofanelli86

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3 commenti

  1. mamifacciailpiacere

    Basta con queste caz.. te dei partigiani buoni ! I soldati non vanno in montagna …

    1. Mappo

      Mamifaccia….argomentazioni un po’ più serie no? Hai dei pregiudizi verso la montagna?
      La questione della guerra civile si può affrontare con un ragionamento un poco più appofondito, dopo 70 anni di grottesca mitizzazione ora non si deve cadere nell’errore opposto. Da entrambe le parti vi erano persone degne come vi erano persone spregevoli. Da entrambe le parti ideali positivi ed ideologie oscene. La guerra l’hanno vinta gli Alleati, non certo i partigiani come qualcuno si ostina tutt’ora a dire, ma vi è stato del buono anche nella lotta partigiana e l’esempio di Gastaldi è uno dei tanti come Martini, Sogno così come Fanciullacci, Moranino o Toffanin rappresentano la parte criminale dei partigiani, ovvero quella gran parte di combattenti che rifacendosi all’ideologia comunista (che stranamente non viene citata neppure di sfuggita nell’intero articolo di Tempi) a tutto pensavano fuorchè alla liberazione dell’Italia. Leggersi i libri di Pansa, di Oliva, di Pavone, di Finetti e altri può essere la base per crearsi un’idea un pochino più seria e personale di cosa è stato nei suoi aspetti positivi come in quelli negativi il movimento partigiano

      1. mamifacciailpiacere

        Ho dei pregiudizi, eccome se li ho ! con il suo permesso (ma anche senza), nei confronti dei soldati che “andarono in montagna” rinnegando un giuramento. Tra l’altro e se non erro, visto che lei vuole impartirmi lezioni, dalle parti di Genova c’è un luogo che si chiama Rovegno che non fa proprio onore ai famosi partigiani, buoni o cattivi, bianchi o rossi, ecc.

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