
La sentenza europea che dà alla madre il diritto di dare il cognome al figlio: «Crea disordine e contrappone uomo e donna»
Anche le madri devono avere il diritto di dare il proprio cognome al figlio. È il fulcro della sentenza emanata ieri dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Strasburgo non solo ha messo in discussione la legislazione di uno Stato, ma ha condannato l’Italia per violazione dei diritti umani, chiedendo al legislatore di rivedere le norme. A ricorrere in appello sono stati due coniugi di Milano, Alessandra Cusan e Luigi Fazzo, che si battono dal 1999, anno di nascita della figlia, perché la bimba sia registrata all’anagrafe con il cognome materno. Secondo il vicepresidente nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani, Giancarlo Cerrelli, la sentenza «in linea di principio non tocca nessuna norma del diritto naturale. Ma le motivazioni della Corte, il contesto e l’urgenza con cui giungono, fino alla condanna dello Stato italiano per la sua tradizione giuridica, destano sospetti». Non solo, anche dal punto di vista giuridico, «le conseguenze possono essere pericolose: non comprendo come un simile cambiamento dello strumento che da sempre è stato utilizzato per mantenere l’ordinamento familiare in Italia, possa essere imposto al legislatore nazionale dall’Europa».
L’articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali dice che «l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto».
È così, eppure si fa prevalere un altro articolo della stessa Convenzione. Si tratta dell’articolo 8, che parla di diritto alla vita privata e familiare e che viene utilizzato per sostenere l’autodeterminazione della famiglia, spesso a prescindere dai vincoli naturali. Così si permettono ingerenze come questa, che mettono in discussione la modalità con cui l’Italia dall’epoca romana garantisce l’ordine delle generazioni, che si innesta su quello familiare. Non si può da un giorno all’altro imporre un cambiamento simile che non ha nulla a che vedere con i costumi millenari di un Paese. La sentenza si giustifica parlando di lesione dell’uguaglianza, ma le cose sembrano propendere per dare pieno potere alla donna, depotenziando la figura paterna. Infatti, dal 2000, la legge italiana permette già di aggiungere al nome paterno anche quello della madre. Perché questo non è bastato ai giudici europei?
Quali conseguenze potrebbe avere un tale cambiamento?
Ai figli nati dallo stesso padre e dalla stessa madre potrebbero essere dati cognomi diversi a seconda delle volontà dei genitori. In questo modo salta ciò che dà garanzia all’ordine genealogico, in cui la madre è sempre certa e il padre riconosce i figli. Ma il problema è anche culturale. C’è un femminismo autodistruttivo che, credendo di difendere la donna, rischia di snaturarne il ruolo, ponendola in conflitto crescente con l’uomo.
Cosa intende?
Se si depotenzia la figura paterna, la conseguenza è quella di dividere l’uomo dalla donna: far sì che il padre e la madre si debbano trovare a discutere anche circa la scelta del cognome del figlio, mi sembra assurdo. Si crea un ulteriore motivo di contesa in cui ci vanno di mezzo i figli, come si dovesse scegliere a chi appartengono di più. Questa idea lede quella della comunione tra uomo e donna che si sostengono a vicenda: è affermando la complementarietà che si crea la vera parità. Il femminismo, invece, per combattere ciò che ritiene patriarcale, anziché riaffermare la comunione fra i coniugi, chiedendo all’uomo il riconoscimento e la dignità del ruolo di madre e di sposa, reagisce cercando di sottoporre il sesso maschile a quello femminile. Peccato che così non si indebolisce solo la figura paterna ma anche quella materna; la donna, in questo modo, rischia di rimanere sempre più sola, costretta a fare anche le veci paterne.
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15 commenti
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e bravo cerilli … libero stato in libera chiesa. ma quale è il problema?
Questa è solo demagogia e retorica femminista. Il mio amico Pio Kinsky dal Borgo ha i due cognomi – quello ceco del padre e quello italiano della madre – fin dalla sua nascita nel 1956. In Sardegna – dove i cognomi non “importati dal continente” sono molto pochi – l’uso, d’origine spagnola, del doppio cognome anche negli atti pubblici, specie quando è l’unico modo possibile per distinguere, p.es., due cugini omonimi, esiste fin dai tempi del Regno di Sardegna. Ma quello di “cancellare il padre” ha il carattere d’un “assassinio simbolico” della famiglia.
Tra l’altro la possibilità d’uso del doppio cognome esiste anche adesso nella legislazione italiana, e da molti anni. E non se ne è avvalso quasi nessuno.
Come in altre battaglie ideologiche (legge omofobia docet), ci si batte per dare risposte a domande che non esistono.
Sono le solite arroganza e prepotenza delle istituzioni europee. È urgente opporsi decisamente a questa dittatura, spezzare le catene.
su questa storia si fa molto anzi troppo baccano. che un bimbo possa portare anche il cognome della madre ci può stare. il problema vero è non mettere in discussione la famiglia tradizionale. la storia del cognome materno è solo uno stratagemma per focalizzare un po’ l’attenzione da un’altra parte. e col distrarre si beffa la gente.
Cerelli è il solito che tuona regolarmente contro i pari diritti per le coppie dello stesso sesso. Ora eccolo che dopo essersi opposto all’uguaglianza tra persone e coppie eterosessuali e omosessuali si oppone anche al semplicissimo concetto di uguaglianza tra uomo e donna, dimostrando la propria mentalità maschilista: il maschio è superiore alla donna e dunque la prole deve avere il cognome del maschio. Tra l’altro il suo ragionamento non sta in piedi neanche dal punto di vista della logica in quanto proprio perchè – come dice lui stesso – per la chiarezza dell’albero genealogico “la madre è sempre certa e il padre riconosce i figli”: appunto, allora sarebbe molto più logico dare sempre il cognome della madre invece di quello del maschio, come invece vuole la tradizione patriarcale ed eteromaschilista che Cerelli, coi suoi pensieri vetusti e culturalmente arretrati, rappresenta.
A me invece fa sorridere chi pensa che con sentenze di questo tipo (p.es. le quote rosa) si va contro la discriminazione della donna. Le donne hanno un ruolo nella famiglia che gli uomini se lo sognano, questo si.
Bifocale,
ancora una volta lanci un boomerang che ti ritorna sistematicamente sui denti.
Proprio per la logica da te indibitamente richiamata il cognome dovrebbe essere quello paterno.
Infatti, dato che “mater certa est”, a maggior ragione l’attribuzione del cognome paterno svolge una funzione di validazione del nucleo familiare, nella misura in cui deriva in modo necessario dal riconoscimento paterno della prole.
Il cognome materno non fornisce nessun beneficio aggiuntivo rispetto a una genealogia che comunque è già naturalmente acclarata. Ti è più chiaro adesso?
E comunque, è già possibile in Italia, da anni, dare il doppio cognome ai figli. Opportunità di cui non si è avvalso quasi nessuno, a dimostrare ulteriormente che la Corte di Strasburgo di questi tempi non ha un caz*zo da fare.
E questo sarebbe un esempio di logica? bah… andiamo bene! Comunque sia, magari lei non se ne e’ accorto, la sentenza della Corte europea non riguardava il fatto di dare il doppio cognome ma di dare il cognome della madre. Au revoir.
Vedo che ha evidenti problemi ad associare sequenze di lettere con i rispettivi lemmi,
quindi è inutile parlare con lei di logica.
E’ contento della proposta di legalizzazione delle droghe?
Non so molto sull’ argomento, nei Simpson non se ne parla e, io, guardo, solo quelli.