
John Waters: ma io non oso separare fede e ragione

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Per me questo è sicuramente un nuovo inizio. Ho lasciato il lavoro che facevo da 35 anni per non essere complice di una menzogna: quella secondo cui viviamo in un sistema democratico dove le decisioni vengono prese dopo un dibattito svolto in base ad argomenti di ragione. Non è così, e continuare a fare il giornalista come prima avrebbe solo legittimato il nuovo establishment e ostacolato la comprensione della realtà che stiamo vivendo da parte della gente». La prima cosa che colpisce di John Waters è l’integrità. Che non è un casuale tratto del carattere, ma il risultato del serio lavoro di giudizio sulla propria esperienza umana, lavoro di tutta un’esistenza condotta sperimentando su se stesso la proposta ateistica di vita e quella cristiana, l’antropologia individualistica e quella creaturale. L’ormai ex editorialista irlandese, di passaggio in Italia invitato a parlare nei pressi di Firenze, ci racconta quello che ha imparato dalla vicenda del referendum irlandese sul matrimonio fra persone dello stesso sesso dell’aprile scorso, il cui esito è stato una sonora vittoria del “sì” col 62 per cento dei voti. Vicenda di cui lui non è stato spettatore ma parte in causa, essendo uno dei pochi intellettuali che si sono spesi per il “no” all’emendamento costituzionale proposto, pagando per questo un prezzo piuttosto salato.
«In realtà la sconfitta è stata meno bruciante del previsto, all’inizio i sondaggi indicavano che tre elettori su quattro avrebbero votato “sì”; avevamo contro il 99 per cento dei parlamentari e dei media, persino l’ex capo di Stato Mary McAleese e l’associazione irlandese dei poliziotti sono scesi in campo per il “sì”. Dunque abbiamo recuperato voti. Ma tutto il resto è sconvolgente». Prima di tutto «abbiamo capito che nei dibattiti i fatti reali e gli argomenti di ragione non contano nulla: contano solo le emozioni e i fatti inesistenti che la propaganda fa credere alla gente. Noi uscivamo dai primi dibattiti dicendoci “è andata bene, li abbiamo messi alle strette coi nostri argomenti”, ma non era così. Quando credi di aver vinto un confronto coi tuoi argomenti di ragione, hai sicuramente perso, perché oggi il mondo vive esclusivamente in una dimensione emozionale. I sostenitori del “sì” entravano nei dibattiti con l’aria di chi era costretto a discutere qualcosa che non doveva essere discusso, perché giusto e indiscutibile. Lo slogan della loro campagna era “marriage equality”, e chi era contrario a questa uguaglianza mostrava di essere privo di compassione e moralmente ripugnante come coloro che in passato non ammettevano l’uguaglianza fra bianchi e neri. Se sollevavi la questione delle conseguenze sui figli venivi immediatamente accusato di omofobia. La loro tecnica è stata di evitare una vera discussione attraverso la delegittimazione dell’interlocutore, la sua disumanizzazione».
Una perdita irreparabile
Questa è la cosa che preoccupa di più Waters: «Nel momento in cui gli interessi delle grandi corporation coincidono con quelli di una minoranza che avanza una certa pretesa, quella minoranza si sente legittimata a dirti: “Vogliamo questa cosa e la avremo, devi decidere se sei favorevole o contrario; se sei favorevole ti rilasceremo la patente di progressista, Madonna ti dedicherà una canzone e tutti parleranno bene di te, se ti opponi ti rovineremo la vita, distruggeremo la tua rispettabilità, faremo in modo che i tuoi figli si vergognino di te. Ti trasformeremo in un esempio di quello che succede a chi si oppone”. È una cosa che va ben al di là della questione del matrimonio fra persone dello stesso sesso. Abbiamo dato il permesso a un nuovo fascismo di prendere il potere nelle nostre società. Un cristiano non può che opporsi a tutto questo».
Che un cristiano debba opporsi a tutto questo non è più ovvio come un tempo, facciamo notare. Si rischia l’accusa di moralismo. Waters non arretra: «Giustamente don Giussani ha spiegato che il moralismo è idolatria. Ridurre il cristianesimo a regole è idolatria. Nessuno è attratto dalle regole, è necessario l’incontro con Cristo. La morale viene come conseguenza naturale dell’incontro con Cristo. Questo però non è la stessa cosa che dire che dobbiamo rinviare il nostro impegno con la realtà a più tardi, quando il nostro rapporto personale con Cristo sarà diventato più felice. La strada che porta a Cristo è la realtà, tutta! Se saltiamo alcune questioni perché sono scomode, non ci ritroviamo più vicino a Cristo, ma più lontano. Non ho scelto io di indire un referendum, è un fatto che mi sono trovato davanti come giornalista. Era mio compito entrare nella discussione, anche se sapevo come sarebbe andata a finire; l’alternativa era dimettermi da giornalista prima, e non dopo lo svolgimento del referendum. Dopo il voto sono andato a riposarmi nella mia casa di campagna. La bellezza della natura mi ha riempito di pace. Allora la bellezza è un analgesico, come lo sarebbe un buon whisky? No, è che la bellezza rimanda alla coerenza, all’unità di senso della realtà. La stessa cosa vale per la moralità: infonde pace perché rimanda all’intima unità della realtà, al suo aver senso. Non c’è separazione fra bellezza e moralità. A un figlio a cui vuoi insegnare a giocare a calcio, mostri quanto è bello correre, calciare e fare goal, nello stesso tempo in cui gli spieghi che tutta questa bellezza si realizza attraverso le regole del gioco: le due cose non sono separabili».
Fatto sta che la prima a mostrarsi timida davanti al referendum è stata la Chiesa cattolica irlandese: a parte un paio di vescovi, gli altri hanno ripetuto così stancamente la posizione della Chiesa, che sembravano giocare per l’altra squadra. «È andata esattamente così, e ci sono due spiegazioni di ciò. La prima è che gran parte della Chiesa irlandese non ha mai fatto proprio l’insegnamento di Benedetto XVI sull’amicizia fra fede e ragione, tante volte mi sono trovato a fare conferenze insieme a sacerdoti, e dopo un po’ mi accorgevo che mentre io valorizzavo l’insegnamento di Benedetto, loro si mostravano critici. Perciò affrontano le tematiche di oggi sulla base del sentimentalismo, e lasciano intendere che se potessero cambierebbero l’attuale dottrina. In secondo luogo, la Chiesa irlandese deve farsi perdonare molto sulla vicenda della pedofilia nel clero, e questo la spinge a prendere posizioni in sintonia con lo spirito del tempo, per dimostrare di essere aperta e moderna. Alla base di tutto, c’è una crisi di fede: la Chiesa stessa ha cessato di credere che la proposta cristiana sia ragionevole, in Irlanda il cristianesimo è diventato una conchiglia vuota, un’eredità del passato che va adattata al mondo moderno per poter mantenere aperta la bottega. Fra la popolarità e la verità, la Chiesa irlandese sembra voler scegliere la prima. Sarebbe una perdita irreparabile, perché la Chiesa ha il compito di proclamare la verità intorno alla natura umana, di richiamare l’uomo a riconoscere i propri limiti e le conseguenze negative quando non vengono riconosciuti. La Chiesa è “esperta di umanità”, come ha detto papa Ratzinger riprendendo Paolo VI: se non offre il suo patrimonio di saggezza e di conoscenza dell’uomo, che cosa se ne fa? Si possono aggiornare le dottrine, ma non per compiacere il mondo! Non si può cambiare la verità solo perché i tempi sono duri. Non è vero, come ci vogliono far credere, che c’è una visione tradizionalista del mondo che si oppone a una visione più illuminata. La verità è che se rompiamo le leggi che definiscono la nostra limitatezza creaturale, ne deriveranno disastri. Questo la Chiesa deve dirlo senza paura, fosse anche solo perché venga messo a verbale. Domani potrà dire che aveva messo in guardia dalle conseguenze negative che poi si sono realizzate».
La tirannia della maggioranza
Ma ritirarsi dal giornalismo non è comportamento analogo a quello di certa Chiesa? Non è un’altra forma di diserzione? «Mi ritiro dal giornalismo ma non mi ritiro dalla scrittura», spiega Waters. «Riprenderò a fare lo scrittore, perché è l’unico modo di scrivere che permetta ancora di trattare il tema del Mistero dentro alla vita dell’uomo, mentre la degenerazione del giornalismo e le nuove tecnologie stanno annientando ogni autentica forma di comunicazione».
Il suo giudizio sul giornalismo è durissimo: «Per John Stuart Mill occorre proteggere la possibilità di espressione di ogni opinione, anche la più stravagante, per il bene della società, perché altrimenti la democrazia è destinata a morire. La libertà di stampa dovrebbe servire a questo. Invece oggi la professione giornalistica consiste nell’imporre al pubblico un pensiero unico e nell’attaccare chi dissente. I giornalisti sono al servizio del pensiero dominante, devono ripetere quello che già si dice, seguono la moda come pecore».
Infine c’è la faccenda per nulla secondaria delle tecnologie informatiche. «Immaginare un mondo perfettamente interconnesso, con un flusso costante e senza ostacoli di informazioni, musica ed altre espressioni artistiche cinquant’anni fa era sognare una condizione paradisiaca. Adesso che si è realizzata, abbiamo scoperto che non è il paradiso, ma una nuova dittatura che si impone. Il progresso morale non ha tenuto il passo del progresso tecnologico, come ha ammonito Benedetto XVI. Le nuove tecnologie sono concepite in un modo tale che riducono la capacità di dire cose complesse: si pensi a Twitter. Oppure accentuano il conformismo, la tirannia della maggioranza predetta da Tocqueville: non consentono all’individuo di esprimere il suo pensiero, ma fanno sì che l’onda enorme del conformismo si abbatta sull’individuo e lo schiacci. Se mettete in Google il nome di una persona che è stata oggetto di una campagna di denigrazione, i risultati della ricerca vi offriranno il nome di quella persona associata a parole come “omofobo”, “bigotto”, “di destra”, eccetera. Questo è sintomo del fatto che le nuove tecnologie informatiche sono funzionali a un disegno totalitario. Abbiamo l’illusione di essere liberi, e invece stiamo contribuendo a un nuovo totalitarismo».
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19 commenti
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Grazie John! Amici, urge meditare-parola-per-parola di nuovo in questo momento l’ultimo paragrafo del primo capitolo del Senso religioso. Le parole del cardinal Ratzinger sul “crollo delle evidenze” vengono ormai abusate a giustificazione di una deriva puramente “emozionale”, come dice John. Giussani in quel paragrafo, subito dopo aver anch’egli constatato la “grande incrostazione che altera l’evidenza di quei significati primi”, lancia “la sfida”. “La sfida”, dice proprio così!, “più audace a quella mentalità che ci domina e che incide per noi in ogni cosa – dalla vita dello spirito al vestito – è proprio quella di rendere abituale in noi il giudizio su tutto alla luce delle nostre evidenze prime, e non alla mercé di più occasionali reazioni”. “Alla luce delle nostre evidenze prime”, ripeté il piccolo principe, per non dimenticarlo. E Giussani insiste: “Occorre perforare (sic!) sempre tali immagini indotte dal clima culturale in cui si è immersi, scendere a prendere in mano le proprie esigenze ed evidenze originali e in base a queste giudicare e vagliare ogni proposta, ogni suggerimento esistenziale”. “Scendere a prendere in mano le proprie esigenze ed evidenze originali”, ripeté il piccolo principe, per non dimenticarlo. Ora ricordo le parole che il Gius mi disse un giorno: “Difendi sempre il cuore!”. “Difendi sempre il cuore!”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
Tanto di cappello!
Quello che volevo dire è detto benissimo qui:
“Con il suo abituale realismo, Benedetto XVI ci mette in guardia dal fatto che, se pure la difesa dei principi è essenziale e indispensabile, ciò non basta a suscitare interesse verso di essi: “Il semplice enunciato del messaggio non arriva fino in fondo al cuore della persona, non tocca la sua libertà, non cambia la sua vita. Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la Grazia di Cristo, rendendo testimonianza a Cristo”
Ognuno di noi lo sa per esperienza: solo la testimonianza della bellezza di una vita cambiata può attirare a Cristo”.
La storia dimostra che le vie con cui Cristo attira a se’ sono molteplici e non pianificabili a priori; Frossard Lo aveva incontrato nel silenzio di una chiesa francese. E’ chiaro che a volte è necessario testimoniare anche a parole quanto viviamo nei fatti quotidiani della nostra vita. A volte ci ameranno, a volte ci odieranno, perchè è sempre possibile resistere alla Bellezza incarnata, come le innumereoli schiere di martiri ci testimoniano, martiri sulla scia di Cristo, sul cui prezioso Volto, probabilmente il più bel Volto che si sia mai potuto vedere sulla terra, uomini hanno sputato. Magari chi ci fa del male porterà poi un tarlo dentro di se’, che un giorno lo condurrà al cambiamento.. non lo sappiamo. La ricompensa per noi è la pienezza di vita in Cristo stesso. ” .. In verità, io vi dico : non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.” (MC, 10, 29-30)
Mi ha fatto molta tristezza leggere questa testimonianza di Waters. Perchè, avendo una certa età, ho vissuto i referendum del divorzio e dell’aborto e ho fatto l’esperienza di cui parla.
Ma proprio questo mi ha messo tristezza: il referendum sull’aborto è stato nel 1982; perchè la Chiesa nel 2014 – anche se in un altro paese – ha dovuto ripetere la stessa esperienza? Non abbiamo imparato nulla?
Anche a me, faceva effetto dire cose secondo me, assolutamente ragionevoli, ma non trovare nessuna possibilità di dialogo: quante volte ho pensato: il divorzio in fondo è un fatto di malintesa libertà, ma per l’aborto si tratta di una vita, di un fatto: lo si capirà molto facilmente…. Ma dal 40% del divorzio si scese al 32% dell’aborto…E questo nell’1982.
Ma anche ora, scusate, è così… Ieri su un sito di un giornale online, c’era la scoperta del fatto che un feto “ascolta” la musica, e poco oltre, la spiegazione di una mamma che difendeva il suo “aborto tardivo”….. Come pensate di poter “agganciare” una persona che mette insieme o legge queste due informazioni senza sentirle come profondamente contraddittorie?
Forse, dobbiamo arrenderci al fatto che è accaduto il “crollo delle evidenze” di cui Ratzinger ha parlato per primo, e che Carron sta riprendendo sempre più approfonditamente?
E quindi, occorre essere consapevoli che l’argomentazione ragionevole e razionale dovrà esser dentro una vita nuova vissuta e di cui si sta facendo esperienza. Questo brillerà e colpirà… secondo il mistero della libertà dell’altro.
ciao, Bruno
D’accordo sulla sostanza del discorso, ma con un importante Nota Bene. La prima domanda da farsi non è mai “come posso agganciarli? Come posso fargli fare l’incontro con Cristo?”. Ma: “cosa mi sta chiedendo Dio? A cosa mi sta chiamando?”. All’origine c’è l’iniziativa di Dio, non io con le mie tattiche.
Waters, un esempio per tutti.
Non solo è sbagliato separare la fede dalla ragione, ma anche da qualunque altro aspetto della vita. Anzi, più che sbagliato è impossibile: al massimo, infatti, si può parlare di legame inconscio.
Come scrisse mons. Albacete – teologo, scienziato e sacerdote portoricano da poco scomparso – ricordando il suo incontro con CL: “Avevo trovato ciò che avevo cominciato a cercare quando incontrai i miei amici al laboratorio trent’anni prima. La fede cristiana non è una religione o una teologia che guida la vita umana, ma la vita stessa vissuta in tutte le sue possibilità. Non c’era separazione tra fede e vita, tra fede ed esperienza, tra fede e amore, tra fede e lavoro. Al contrario, la fede era la vita stessa.”
Perche’ non c’e’ piu’ la rubrica di John Waters su Tracce? Qualcuno me lo sa dire?
La prima risposta, caro Orso, che mi verrebbe da darle è che basterebbe pensare a colui che attualmente guida l’associazione che redige la rivista “Tracce”………………………………………. poi però, come seconda risposta, le direi che lo stesso Waters ha appena detto che non farà più il giornalista!
Non sapevo che le rubriche su Tracce fossero tenute solo da giornalisti.
Amicone, lei non sa come è andata? Tutti sappiamo perché Waters non scrive più per l’Irish Times e non sappiamo perché da qualche mese non scrive più su Tracce? Mah, sarà il crollo delle evidenze. (Magari torna, speriamo).
Un abbonato.
Dear mr. Waters,
you’re a really brave man, because you’re still continuing to fight this cultural war (there aren’t other words to describe what is happening) even it seem a dead-end situation. Honour to you and to the others (etimologycally or not) martyrs, which continue to fight for Christ and the truth!
Giustamente bisogna evitare di ridurre il cristianesimo a moralismo, prima viene Cristo. Ma attenzione a non fare come il giovane ricco che voleva seguire Cristo senza rinunce. Il punto oggi non sono i valori, ma l’antropologia: chi è l’uomo? Si fa da sé (ideologia gender) o è creatura prediletta di Dio (cristianesimo)? La questione antropologica è ineludibile.
Appunto è infatti ineluibile, ma come fai a convincere che l’uomo è la creatura prediletta di Dio? Il punto è questo, la strategia per convincere le persone, non basta dire che questo è vero, abbiamo visto che non funziona!
va bè, convincere un troll non c’è mai riuscito al mondo nessuno
ci vorrebbe un amico
Bisognerebbe riflettere in maniera diversa e più ampia rispetto a quei quattro “cosa” che ti circolano nella mente e che riducono, per propaganda, la vita degli esseri umani a quella di un invertebrato:
La “cosa” più vile te la ricordo subito: Ognuno fa le sue scelte e non è detto che hanno minore dignità rispetto ad altre. Nella sua essenzialità dimostra la scarsa empatia umana a non saper distinguere scelte che violano l’uomo , lo umiliano, lo schiavizzano rispetto scelte che ti legano ad essere umani in un rapporto di amore.
Il tuo solito grigiore
Onore a John Waters, tra i più stimabili del “piccolo gregge”