
Iraq, cristiani perseguitati. Come tornare a casa se non c’è più la casa?

«In nome dell’umanità, chiediamo al governo centrale dell’Iraq, al governo regionale del Kurdistan e alla comunità internazionale di sostenerci nel ritorno alle nostre case, e di indennizzare le comunità colpite in tempi certi per mettere termine alla condizione di sfollati che soffriamo da due anni e mezzo e che continuiamo a soffrire. Se non si agisce immediatamente per proteggere la nostra identità di popolazione nativa di questo paese, l’emigrazione continuerà e questo paese perderà la sua popolazione originaria, cosa che per esso sarebbe una grave perdita. Pertanto è una responsabilità storica di tutte le parti in causa impedire ciò». Così si conclude il testo di un comunicato stampa diffuso sabato scorso 4 marzo in occasione di una conferenza stampa organizzata a Erbil, nel Kurdistan iracheno, dalla Chiesa siro cattolica e dalla Chiesa siro ortodossa, rappresentate dall’arcivescovo siro cattolico di Mosul e Kirkuk mons. Petros Mouche e dall’arcivescovo siro ortodosso di Mosul Nikodimos Dawod Sharaf. La conferenza è stata convocata per presentare un rapporto sulle distruzioni materiali nelle località della piana di Ninive abitate prevalentemente da cristiani siriaci occupate dallo Stato islamico fra il giugno e l’agosto del 2014 e liberate dalle forze irachene nell’ottobre-novembre 2016.
IL RAPPORTO. Il rapporto è stato realizzato insieme dalle due Chiese, che si sono appoggiate a comitati locali e a tecnici volontari (geometri, ingegneri, architetti, fotografi, ragionieri contabili) per una stima completa dei danni e dei costi della ricostruzione. I rilievi sono stati effettuati nelle località di Qaraqosh (che i siriaci chiamano Baghdida), Bartellah, Bashiqa e Bahzany, le quali prese insieme prima dell’occupazione da parte dell’Isis contavano complessivamente 83.800 abitanti (Qaraqosh da sola ne aveva 50 mila) cristiani per il 90-95 per cento (i non cristiani essendo rappresentati da piccole minoranze di yazidi e di musulmani) e nella quasi totalità siriaci ortodossi o cattolici (i non siriaci essendo rappresentati da alcune famiglie caldee, assiro orientali e armene).
I DANNI. Le stime dei danni riguardano solo le unità abitative residenziali e gli edifici scolastici. Chiese ed altri templi, ospedali, cliniche, scuole materne, orfanotrofi e conventi sono stati lasciati fuori dal conteggio. Gli edifici analizzati sono stati suddivisi in tre grandi categorie: A) edifici completamente distrutti; B) edifici gravemente danneggiati e/o distrutti da incendi; C) edifici parzialmente danneggiati. Nell’ultima categoria rientrano le case che sono state razziate di tutti i pezzi di valore (inclusi gli infissi come porte e finestre, cavi e interruttori elettrici, ecc.) e sotto le quali sono stati scavati tunnel con funzioni militari. In pratica il 100 per cento delle case delle quattro località analizzate ha subito danni. Nel dettaglio, delle 9.519 case e scuole interessate dalla ricognizione 310 (cioè il 3,3 per cento del totale) sono state completamente distrutte nel corso dell’occupazione; 3.083 (il 32,4 per cento) sono state bruciate o gravemente danneggiate; 6.116 (il restante 64,3 per cento) sono state completamente svaligiate. Dal punto di vista quantitativo la località più colpita è ovviamente la più grossa, cioè Qaraqosh, dove 116 edifici sono stati completamente distrutti e 2.448 gravemente danneggiati; in percentuale la località più colpita è Bahzani, col 19,3 per cento dei suoi edifici rasi al suolo e il 22,6 per cento gravemente danneggiati.
RICOSTRUZIONE E SICUREZZA. I lavori per i rilievi dei danni analizzati nel rapporto sono stati coordinati dal Comitato per il servizio volontario di Baghdida, dal Comitato per la documentazione e la ricostruzione di Bartellah, dal Comitato Mar Shmony di Bashiqa e dal Comitato San Giorgio di Bahzani. Gli abitanti di queste località evacuati nel corso dell’estate del 2014 sono oggi in parte ospiti di strutture per sfollati nel Kurdistan iracheno (campi profughi e appartamenti i cui canoni di affitto sono pagati dalle Chiese) e in parte emigrati all’estero. Il comunicato precisa che «i centri di assistenza annessi alle nostre parrocchie dispongono di dati accurati relativi allo status degli sfollati dopo l’esodo forzato, situazione sulla quale siamo in grado di convocare un forum». Ricostruzione e sicurezza sono le due condizioni imprescindibili che permetterebbero agli sfollati nel Kurdistan e a coloro che sono emigrati all’estero di tornare nei luoghi dove sono nati e cresciuti: «Non c’è dubbio che il processo di ricostruzione è sistematicamente collegato al processo del ritorno, dal momento che occorre fornire infrastrutture e condizioni di socialità. Ciò specialmente in considerazione del fatto che molte famiglie hanno deciso di restare in Iraq e molte di esse sono desiderose di tornare alle loro case. Mentre altre famiglie che ora vivono all’estero potrebbero prendere in considerazione un ritorno in patria se la sicurezza è garantita».
Foto Ansa/Ap
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