Il manifesto del Quarto Polo è digeribile come un peperone con la buccia

Di Chiara Sirianni
29 Marzo 2012
Una schiera di intellettuali, da Paul Ginsborg a Stefano Rodotà, firma un manifesto invocando «un nuovo soggetto politico» che stia a sinistra della sinistra. E che appoggi De Magistris (già lo sosteneva Carlo Cattaneo nel 1864). Serve un processo «che destituisca, decostruisca, ceda, decentri, abbassi, distribuisca, diffondi il potere». Qualunque cosa significhi.

In vista delle elezioni del prossimo anno, si è parlato molto di un “Quarto Polo” in grado di occupare lo spazio vuoto lasciato dal Pd. Un soggetto in grado di riunire tutta l’opposizione che sta a sinistra, sia del Partito democratico, sia del governo tecnico. Un po’ sulla scia della convention organizzata a gennaio da Nichi Vendola, che raggruppava molti ospiti esterni al partito (dalla candidata alle primarie di Palermo Rita Borsellino, al sindaco di Napoli Luigi De Magistris, passando per il leader della Fiom Maurizio Landini).
Già qualche mese fa, della convention di Roma si notavano tre cose: la totale assenza di democratici, fatta eccezione per il sindaco di Bari Michele Emiliano. Il titolo (“Per la giustizia sociale. Una nuova sinistra per salvare l’Italia e l’Europa”). E soprattutto una dichiarazione di Vendola che non lasciava spazio a dubbi: «Con la nascita del governo Monti le distanze con il Pd sono cresciute. Io non voglio costruire un quarto polo insieme all’Idv, voglio costruire il polo in grado di vincere le prossime elezioni». 

Tre mesi dopo, l’idea inizia a delinearsi. E oggi è uscito (pubblicato sul Manifesto) un proclama politico firmato da una fitta schiera di intellettuali, da Paul Ginsborg (il professore che insieme a Francesco Pardi diede il via al movimento dei girotondini) all’economista Guido Viale (ex dirigente di Lotta Continua). In otto pagine densissime, zeppe di citazioni che spaziano da Walt Whitman a Peter Maier, da Norberto Bobbio a John Stuart Mill, si invoca l’avvento di un «soggetto politico nuovo, anche a livello europeo» in grado di andare oltre i partiti, «guardati con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia. Al cuore della democrazia si è aperto un buco nero, una sfera separata, abitata da professionisti in gran parte maschi, organizzata dalle élite di partito». È crescente l’impressione «che i nostri rappresentanti rappresentino solo se stessi, i loro interessi, i loro amici e parenti. Quasi fossimo tornati al Settecento inglese, quando il sistema politico si è guadagnato l’epiteto di Old Corruption».

In parole povere, alla base c’è la delusione per una sinistra filo-montista e servilmente assoggettata ai mercati. Da sconfiggere, il pensiero unico liberista. Fra i firmatari ci sono Stefano Rodotà (costituzionalista), Alberto Lucarelli e Ugo Mattei (promotori del referendum sull’acqua pubblica), Sandro Plano (presidente della comunità montana della Val di Susa) e una folta schiera di sociologi, economisti e filosofi del diritto. I protagonisti della rivolta, invece, sono «le persone giovani, specialmente del Sud e donne, che non trovano sbocco ai loro sogni e ai loro percorsi educativi». Non solo: ci sono anche «le operaie e gli operai, che vedono giorno dopo giorno minacciati i loro diritti dentro la fabbrica, le commesse e i commessi intrappolati nella catena della distribuzione, i ceti medi del pubblico impiego, quelli della scuola, della sanità, dell’amministrazione pubblica, che in questi anni sono stati tartassati e disprezzati». Ovviamente non mancano «i giovani precari, spesso super-qualificati, vittime di una flessibilità selvaggia neoliberista inizialmente introdotta dal centro-sinistra che ha tolto loro dignità e futuro» e «la rete dei microproduttori e del cosiddetto lavoro autonomo di seconda generazione entrata in crisi con la recessione». Tutti questi elementi non sono adeguatamente rappresentati, e quindi urge creare «un nuovo percorso». Un processo opposto «che destituisca, decostruisca, ceda, decentri, abbassi, distribuisca, diffonda il potere».

Traduzione: sì alla dimensione locale. E soprattutto sì al Forum del Beni Comuni organizzato da De Magistris a Napoli. A legittimare l’operazione c’è Carlo Cattaneo, «una delle più belle ed inascoltate voci del nostro Risorgimento» che nel 1864 «descrisse il comune come “la nazione nel più intimo asilo della sua libertà”. E aggiunse, con un pizzico di amarezza: “Pare che fuori di codesto modo di governo la nostra nazione non sappia operare cose grandi”». Riassumendo: meno delega, più partecipazione diretta. I cittadini vanno coinvolti in prima persona. In nome di uno slogan che arriva diretto dagli anni Settanta: «Il personale è politico». In che senso? Ecologico: «Le persone devono riflettere sul loro privato, così da perseguire la giustizia ambientale e sociale». Chi ha ben applicato tale impianto ideologico è ancora De Magistris, citato come esempio positivo se stesso: «Il Laboratorio Napoli prevede sedici consulte divise per macro-aree che si interfacciano con i singoli assessorati attraverso il ruolo dei facilitatori». 

Il testo, completo, lo si trova on line. Non c’è un logo, non ci sono ancora dichiarazioni ufficiali. Messe per un attimo da parte le citazioni, i rimandi storici e le forza delle idee, quali saranno gli interlocutori politici? Cosa si intende per «mobilitazione diffusa e connessa, che non imponga esclusività di appartenenze e che si ritrovi poi in un primo appuntamento nazionale»? Il riferimento alla “grande lista civica” evocata in questi mesi è evidente. Il treno è ormai partito, e chissà che non possa iniziare a correre già alle amministrative di primavera.

Twitter: @SirianniChiara

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