
I sette comandamenti di Dolan per non lasciare la comunicazione della fede «a noi vescovi anziani, grassi e pelati»

Il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, ha inaugurato ieri pomeriggio a Roma il IX Seminario professionale sugli Uffici di Comunicazione della Chiesa, promosso dalla Facoltà di Comunicazione Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce (foto dal profilo Flickr dell’ateneo). In una lezione con a tema le “Sfide culturali per i comunicatori della Chiesa”, il prelato statunitense ha offerto alla platea, con la solita ironia, «sette osservazioni», sette «verità basilari» imparate dall’esperienza per spiegare come la Chiesa può trasmettere efficacemente il messaggio di Cristo «a un mondo che non sembra essere sempre interessato in ciò che abbiamo da dirgli, che ci fraintende o ci è addirittura ostile».
PROFESSIONALITÀ. Innanzitutto, ha detto Dolan, ai comunicatori cattolici occorre «un reale senso di professionalità in tutto ciò che facciamo». Che non significa solo sapere utilizzare la tecnologia più avanzata. L’utilizzo dei nuovi media è importante, ma ancora più importante è per il cardinale «il modo in cui utilizziamo quella tecnologia e il modo in cui ci comportiamo», che «deve corrispondere ai massimi standard professionali ed etici». Infatti «il modo in cui diciamo qualcosa è importante quanto ciò che diciamo», perché «attraverso la comunicazione forniamo alla parola di Dio una natura umana».
VERITÀ. Secondo, ha proseguito Dolan, «non dobbiamo aver mai paura di dire la verità», anche quando si tratta di cose spiacevoli per la Chiesa («abbiamo dovuto farci i conti più volte nella nostra diocesi»), perché dalla Chiesa «le persone vogliono e si aspettano trasparenza». L’istituzione infatti non è criticata per gli errori dei suoi membri ma molto di più, e giustamente, quando cerca di coprirli e lascia che siano i media a parlarne prima di lei. L’arcivescovo di New York ha ricordato le parole di Cristo: «La verità vi farà liberi». E se questo vale nel male, vale ovviamente anche per le buone notizie. A questo proposito Dolan ha raccontato che recentemente, in occasione di un ritiro spirituale con tremila persone, è stato intervistato da una giornalista di una tv locale che insisteva a incalzarlo solo sui presunti scandali della Chiesa: «Io rispondevo alle sue domande, ma continuavo a ricordarle qual era la vera notizia in quel momento: tremila cattolici entusiasti della propria fede».
PREGIUDIZI. In terzo luogo, ha detto il cardinale, «è naturale avere pregiudizi», e lo è anche per i cattolici. Poi ha aggiunto ironicamente: se i giornali di destra e di sinistra sono pieni di attacchi ai vescovi, allora «anche noi comunicatori cattolici dovremmo avere un pregiudizio, e quel pregiudizio dev’essere sempre pro-Chiesa». Non significa certamente che i media cattolici debbano ritenere la Chiesa immune dalle critiche, anzi, «noi vescovi meritiamo critiche, ne abbiamo bisogno, le accogliamo di cuore, a patto che siano giuste, equanimi, civili», ma non si deve cadere «nell’estremo opposto di pensare che tutto quello che fa un vescovo è sbagliato». Nel mondo cattolico capitano anche molte cose positive, ha osservato Dolan, «è nostro dovere trovarle e dare loro quanto meno lo stesso spazio che diamo alle storie negative. Dobbiamo condividere la gioia e la bellezza di essere cattolici». Molti cattolici cercano dai loro media «non solo informazione ma formazione», ecco perché bisogna dire la verità.
L’ALTRA GUANCIA. Per le stesse ragioni, ha insistito il porporato, di fronte agli attacchi «dobbiamo rispondere con carità e amore», perfino di fronte a chi attacca la Chiesa per puro odio. Certo, a volte occorre difenderla dalle accuse in mala fede, ma sempre obbedendo all’invito di Gesù «a offrire l’altra guancia, senza rispondere alle invettive con parole dure da parte nostra». Proprio questo atteggiamento, ha osservato Dolan, è quello che rende papa Francesco un comunicatore così efficace: Bergoglio «sa quello che vuole dire e sa come dirlo. È capace di insegnare la fede e contemporaneamente mostra la sua grazia, la sua bellezza e la sua gioia». E non è un atteggiamento studiato, «è semplicemente papa Francesco».
CATECHESI. Quinto: «Mai sottovalutare l’ignoranza delle persone riguardo alla fede cattolica». Infatti secondo Dolan perfino ciò che ai cattolici sembra più elementare, dalla Trinità all’Eucarestia, è spesso mal compreso non solo dai media “mainstream” ma anche dagli stessi cattolici, che non di rado «ricevono la catechesi proprio dai media». Perciò ben venga ogni occasione di ripetere gli insegnamenti del magistero. Ma è un compito che non tocca solo al clero, ha aggiunto l’arcivescovo, «sono passati i tempi in cui anziani, grassi e pelati vescovi come me erano i migliori portavoce della Chiesa: abbiamo bisogno di laici competenti che la rappresentino». Un ottimo esempio è stato per Dolan l’opera svolta nel Regno Unito da Catholic Voices, attraverso il quale un gruppo di uomini e donne, laici, giovani e volonterosi nel 2010 riuscì a cambiare la percezione mediatica della visita di Benedetto XVI trasformando l’ostilità preventiva in un benvenuto.
GESÙ. È inoltre importante «mettere Gesù prima di tutto», ha proseguito Dolan. «Le persone hanno fame di senso nelle loro vite», per questo il cardinale ha fatto notare di non avere mai concesso un’intervista senza menzionare il nome di Gesù: «Il punto è Lui, non io». E così come non si può introdurre nessuno alla bellezza del calcio partendo dalla spiegazione del calcio d’angolo, allo stesso modo per Dolan chi comunica la fede deve «offrire alla gente Gesù, abbracciare le persone, solo dopo possiamo iniziare a spiegare i sì e i no». L’arcivescovo ha poi confessato di ricordare sempre a se stesso, prima di un intervento mediatico, di non aver paura di essere «troppo religioso». In fondo, «se mi chiedono un’intervista, è perché sono un pastore, non perché sia il sindaco».
L’AUDIENCE. Infine, il comunicatore cattolico deve conoscere il suo pubblico. Gesù secondo Dolan raccontava parabole che credeva che il suo pubblico avrebbe capito. Lo facevano pure gli evangelisti, che «adattavano il messaggio in modo che fosse comprensibile al loro pubblico», si trattasse di greci, ebrei o romani. Dunque mai disprezzare le forme di comunicazione che possono essere utili. Anche a costo di pagarle con un po’ di imbarazzo, come capita allo stesso cardinale americano quando è costretto a chiedere aiuto per aggiornare il blog o mandare un tweet. «So quanto siano potenti questi nuovi media», ha sottolineato Dolan, «ovunque vado qualcuno mi ferma per dirmi che gli è piaciuto (o non gli è piaciuto) quello che ho scritto nel blog o ho detto in una intervista». I comunicatori cattolici, ha concluso il porporato, hanno bisogno «non solo di conoscere la fede, ma anche di articolarla in un modo avvincente e invitante».
Le attività del Seminario della Santa Croce proseguiranno fino a mercoledì 30 aprile. Per oggi, martedì 29 aprile, è atteso l’intervento dell’Arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, su “La famiglia come opportunità comunicativa”, e della professoressa Helen Alvaré, della George Mason University, che parlerà dell’identità umana. Qui il programma completo delle lezioni.
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10 commenti
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Provo se vi arriva,CON POCHE PAROLE VORREI CORREGGERE A MASSIMO L’EX SOLDATO DI GESU E MARIA.Mi sa che ha
incertezze ed ispirato da uno spirito di orgoglio vul insegnar a noi unti.Io NON SO COME FARGLI ARRIVAR QUESTO MIO MESSAGGIO PER DIRGLI CHE STA SBAGLIANDO TUTTO!! Massimo ,NON SI PUO
PREGARE AI SANTI???Ma che dici??? Si puo mentre lo spirito di Dio ci sospinge come sospinse il Macedonese!!CONFRONTA BENE ATTI 16:9!Ritirati a fare altro.perche non sai che ogni cosa e’possibile a Dio pure di farci chinar davante a sue statue sante ove c’e la’ presente anche lui in spirito,dentro la ss
Santa statua!confronta esodo 25:18-22! Rispondimi sul tuo video ma conferma che ho ragione nello spirito santo che ci corregge a tutti.Ciao.MARIA PALAZZOLO.
Filomena, buon cielo, ha mai pensato di sottoscrivere un abbonamento annuale a TOPOLINO? Piano piano, con un po’ di applicazione e di pazienza, vedrà che imparerà a dire qualcosa di sensato…
“offrire alla gente Gesù, abbracciare le persone, solo dopo possiamo iniziare a spiegare i sì e i no”
Parole sante! I primi cristiani – come mostra la famosa Lettera a Diogeneto – venivano notati perché seguendo Gesù non praticavano l’infanticidio. In un mondo secolarizzato come il nostro, il contributo non può che partire dalla testimonianza personale e comunitaria della Sua presenza, per abbracciare “una umanità ferita” che non comprende più il vero bene comune.
Traduco: prima indottriniamo la popolazione su Gesù e poi chiediamo loro di ripetere a memoria i dieci comandamenti. Un modo veramente rispettoso e arricchente per fare cultura! Complimenti.
Certo cara Mena che se per tradurre il dizionario “Italiano – FIM” è dura.
Scusa Mena, chiarisco x gli altri che magari non lo usano: FIM sta x Faziosa Interpretazione Mena
Del resto ti capisco anche, è l’unica lingua che conosci.
Bella la vostra di cultura….droga libera, aborto per tutte a richiesta, bambini artificiali come si ingravida in zootecnia,……….
Pensate di essere una moltitudine, ma siete pochi scalmanati.
1 milione di presenti + 2 miliardi in televisione.
La vostra forza è il denaro dei gruppi di potere vostri amici, che vi ha consentito di infilare persone nei posti di comando.
Ma non avete il popolo.
chi parla, anche di Gesù, lo fa confidando nel senso critico di chi ascolta. Di chi ascolta ed è venuto volontariamente a sentirti.
Perché il nome di Gesù ti fa tanto orrore?
E non dirmi che non riesci a ricordare a memoria 10 comandamenti.
@ Filomena
L’indottrinamento e’ l’opposto dell’evangelizzazione, perché il primo consiste nel inculcare nozioni, la seconda nel fornire un criterio per tirar fuori (educare) il meglio di se stessi. Per questo l’indottrinamento ha bisogno di coercizione, mentre l’educazione alla fede ha come presupposto la libertà personale.