I giudici di Strasburgo contro la Legge 40 (ci credo, guardate che curriculum)

Di Benedetta Frigerio
29 Agosto 2012
Chi sono e come la pensano i giudici della Corte europea che hanno condannato l'Italia? Breve profilo di una Corte non esattamente al di sopra di ogni sospetto

Il curriculum dei giudici europei che hanno sentenziato sulla Legge 40 rivela molte cose. Come il fatto che si è giudicato nonostante la coppia non fosse sterile (presupposto per accedere alla fecondazione assistita), ma affetta da una malattia genetica, e anche se non aveva prima fatto ricorso, come stabilisce la legge, ai tribunali italiani.

A presiedere la commissione di giudici europei che ieri hanno emesso la sentenza c’era Francoise Tulkens, magistrato che tramite sentenze europee ha provato a creare parecchi nuovi diritti. Tulkens, che si dichiara cattolica non praticante, era il presidente della commissione che nel 2009 stabilì che il crocifisso dovesse essere tolto dalle aule delle scuole. E che, intervistata dal settimanale Panorama, alla domanda se la sentenza non fosse il frutto di una visione talebana della laicità rispose cerchiando con la penna l’articolo 2 sul diritto all’istruzione. Secondo la Tulkens appendere un crocifisso al muro di un’aula equivaleva a dare un’educazione cattolica anche a chi non lo era.

A scrivere la sentenza sul crocifisso e quella sulla legge 40 c’era anche l’ungherese András Sajó, sostenitore convinto del modello secolarista di laicità negativa. La cui tesi, contenuta nella sua pubblicazione “Preliminaries to a concept of constitutional secularism”, è che «il costituzionalismo appare vulnerabile a certe richieste di religioni forti quando presentate in termini di libertà religiosa e di pluralismo». Pertanto, occorrerebbe «una nozione robusta di secolarismo capace di vigilare sui confini della sfera pubblica», contro «le forme di religione forti che hanno l’obiettivo apparente di essere riconosciute pubblicamente».

[internal_gallery gid=45476]

Presente in entrambe le commissioni c’era anche Ayşe Işıl Karakaş, la turca appartenente ai Second Republicans, un groppo politico liberal marxista, l’ex ambasciatore serbo in Svizzera Dragoljub Popoviç e la lituana Danuté Jociene, ancora presente a Strasburgo nonostante sia stata denunciata nel maggio 2010 dall’Associazione lituana per la protezione dei diritti umani, che l’aveva accusata di aver usato norme del regime comunista lituano per sostenere le sue tesi. Il presidente della Associazione, in una lettera datata 14 maggio 2010, chiese proprio a Françoise Tulkens la rimozione del giudice dai suoi compiti. La Jociene, si legge, «ha negato il diritto alla proprietà di un possidente terriero», facendo riferimento a «una dichiarazione adottata da un organo di un regime di occupazione illegale, e non da uno Stato sovrano in accordo con la legge internazionale».

Gli altri giudici a scrivere la sentenza c’erano la tedesca Isabelle Berro-Lefevre e il portoghese Paulo Pinto de Albuquerque. Insieme a loro, per l’Italia c’era Guido Raimondi, che ha sostituito Vladimiro Zagrebelsky nel 2010. Raimondi quindi non era fra i giudici che nel 2009 si espressero contro il crocifisso in primo appello, ma c’era quando nel 2011 la Grand Chambre, chiamata a giudicare in appello a maggioranza di quindici giudici, respinse la sentenza della Corte Europea sul crocifisso, stabilendo che non doveva essere rimosso. Raimondi fu tra i soli due giudici che si pronunciarono a favore.

L’ultima new entry del caso Costa Pavan è Helen Keller, la giurista svizzera eletta alla Corte di Strasburgo il 12 aprile 2011. Intervistata da swissinfo.ch il 25 dello stesso mese, non nascose le sue idee assai di sinistra. In quell’intervista, però la Keller fece una dichiarazione che torna oggi d’attualità: «La Corte e la Convenzione europea dei diritti umani dovrebbero essere solo l’ultima istanza alla quale una persona che si ritiene lesa nei suoi diritti dovrebbe potersi rivolgere. Lo Stato chiamato in causa dovrebbe avere sempre la possibilità di lasciar giudicare una presunta violazione dei diritti umani da un tribunale nazionale, prima che a Strasburgo». Non si capisce, dunque, come abbia potuto essere d’accordo nel procedere sul caso sollevato da Costa e Pavan, che si sono rivolti alla Corte Europea senza passare per la giurisdizione dello Stato italiano. «Ovviamente – aggiungeva, però, allora – questo presuppone sistemi nazionali funzionanti per quanto riguarda la difesa dei diritti umani. Questa condizione non è data ovunque, soprattutto non nei paesi dell’ex blocco sovietico. In questi Stati, molte persone si rivolgono direttamente a Strasburgo, perché non hanno fiducia nei tribunali nazionali». Forse allora per Keller l’Italia rientra in questi casi.

@frigeriobenedet

Articoli correlati

1 commento

  1. francesco taddei

    quando lo capiranno i democratici che questa non è l’europa dei popoli? come può esserlo un supergoverno che decide cosa 27 paesi devono pensare e credere? come possono manipoli di politicanti decidere per milioni di persone, alcune lontanissime anni luce dalla loro cultura e dalla loro terra tanto che dubito che un belga o un olandese conosca bene la geografia dei paesi che chiamano “periferici”? A proposito di referendum: l’unica volta che i politicanti europei hanno proposto un referendum per chiedere il parere su una cosa (che gentili), i popoli europei lo hanno bocciato. tranne da noi che nemmeno l’hanno proposto, sulla costituzione europea, dando per scontato il nostro europeismo, o per paura di brutte sorprese? sulla fecondazione assistita invece si e la mancanza di quorum è stato un segnale politico. ma se è diverso dalle aspettative allora è il popolo che è inadeguato.

I commenti sono chiusi.