Ludovine (presidente Manif pour tous): «Con la nostra maglietta non ti fanno neanche entrare nei musei»

Di Rodolfo Casadei
30 Settembre 2013
Intervista alla nuova presidente della Manif pour tous Ludovine de la Rochère: «Siamo vittime di una repressione antidemocratica e illiberale»

Ludovine de la Rochère è stata responsabile della comunicazione per la Conferenza episcopale francese e per la Fondazione Jérôme Lejeune. Da maggio è presidente del collettivo de La Manif pour tous. È lei che ha aperto e chiuso i lavori della prima “Université d’Eté” del movimento.

Presidente, quali sono stati gli obiettivi di questo vostro appuntamento?
Il primo obiettivo era di permettere ai nostri volontari e simpatizzanti di tutta la Francia di incontrarsi, di conoscersi e di rallegrarsi del lavoro sin qui fatto. Il secondo è stato di informarsi sulle questioni che riguardano il futuro della nostra società nei termini previsti dalle iniziative del governo: estensione della fecondazione assistita alle coppie omosessuali, maternità surrogata, ideologia del gender. Su questo serviva un approfondimento e una formazione. Infine abbiamo lanciato la mobilitazione per i mesi a venire: non molliamo, tutto prosegue e niente si ferma.

Qual è il vostro rapporto con la politica e i partiti politici?
Abbiamo contatti coi politici che ci hanno sostenuto nell’opposizione alla legge Taubira, ma siamo assolutamente indipendenti da qualsiasi partito o leader politico: siamo noi i soli responsabili dell’organizzazione del movimento e dei messaggi che diffondiamo, e ci autofinanziamo. Facciamo politica nel senso alto del termine. Ciò significa che non saremo presenti alle elezioni locali (marzo 2014, ndr) e i nostri simpatizzanti che si candideranno lo faranno a titolo personale. Per quanto riguarda le elezioni europee (giugno 2014, ndr), una decisione finale non è stata presa. Se i candidati dei partiti tradizionali non si impegneranno formalmente a difendere e promuovere i valori che siamo andati affermando, allora è possibile che presenteremo nostre liste. L’Europa produce molte circolari, regolamenti, testi e normative riguardanti i temi che ci stanno a cuore, perciò siamo vigilanti e pronti a scendere in campo.

E con le istituzioni religiose?
Abbiamo incontrato i responsabili di tutti i culti religiosi presenti in Francia, i quali hanno invitato i loro fedeli a partecipare alle nostre manifestazioni, cosa che è avvenuta. Non c’è però nessun legame formale con nessuna religione, siamo una realtà aconfessionale. Dire che un figlio non può nascere che da un uomo e una donna è una questione di ragione, non di religione: si può essere agnostici e aver compreso che il matrimonio ha a che fare inscindibilmente con la filiazione e che questa non è possibile senza un uomo e una donna.

Vi considerate vittime di una repressione antidemocratica e illiberale?
Sì. L’atteggiamento dei poteri pubblici nei nostri confronti resta ambiguo. Anche stamattina a nostri simpatizzanti è stato vietato l’ingresso in alcuni musei perché indossavano magliette col logo della Manif, benché nessuna legge francese proibisca di portare in pubblico abiti che pubblicizzano convinzioni personali. Se avessero indossato magliette col profilo di Che Guevara non avrebbero avuto problemi. La nostra libertà di espressione è conculcata. Nel giugno scorso la Francia è stata richiamata dal Consiglio d’Europa proprio per le misure di pubblica sicurezza prese ai danni di manifestanti del nostro movimento: limitazioni della libertà di espressione, interrogatori e arresti ingiustificati.

Su cosa vi mobiliterete nei mesi a venire? La legge Taubira ormai è stata promulgata, cosa potete fare ancora?
Continuiamo a contestare la sua legittimità, ma sappiamo bene che resterà in vigore almeno fino alle prossime elezioni politiche. Noi ne chiediamo l’abrogazione, e speriamo che il prossimo parlamento si pronuncerà in tal senso. Naturalmente l’abrogazione non dovrà avere valore retroattivo. Ora le urgenze sono tre: battersi perché nelle scuole non venga imposta l’ideologia del gender; perché la fecondazione assistita non venga estesa alle coppie omosessuali; contro l’omofobia. A nessuna persona si deve mancare di rispetto a motivo del suo orientamento sessuale.

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10 commenti

  1. Italo Sgrò

    Io ad esempio sono contro la cosiddetta “omofobia” e sono anche contro l’ipocrisia di Remo. E sono anche d’accordo sul fatto che il vocabolo “omofobia” sarebbe meglio non usarlo proprio e sarebbe ancora meglio no approvare lo sciagurato ddl Scalfarotto (a proposito, l’aggettivo “sciagurato” che ho utilizzato sarebbe considerato “omofobia”?).

    1. beppe

      com’è che si riconoscono tra loro gli omosessuali? se uno , per sbaglio fa delle avances equivocando qualche atteggiamento, e l’altro si sente importunato , come deve reagire per non essere giudicato omofobo?

  2. Remo

    “contro l’omofobia” facendosene i primi portavoce: all’ipocrisia non c’è proprio limite

    1. emanuele

      dipende dalla definizione che si fa di omofobia. Dal momento che per le lobby “omofono” è chiunque le ostacoli, per le lobby LGBT sarà un controsenso. Ma al contrario se si vuol dare un altro significato, meno capzioso, è ben possibile dirsi contro l’omofobia.
      A mio avviso però questo termine sbagliato non andrebbe proprio usato.

    2. emanuele

      dipende dalla definizione che si fa di omofobia. Dal momento che per le lobby “omofobo” è chiunque le ostacoli, per le lobby LGBT sarà un controsenso. Ma al contrario se si vuol dare un altro significato, meno capzioso, è ben possibile dirsi contro l’omofobia.
      A mio avviso però questo termine sbagliato non andrebbe proprio usato.

      1. Remo

        Sarei veramente curioso di vedere in cosa si concretizzerebbe la vostra lotta contro l’omofobia. Ma visto che state già negando l’esistenza stessa del fenomeno, si può già sinterizzare in “niente”.

        1. emanuele

          Se tu fossi veramente curioso, non te ne saresti uscito con questa congettura pessimistica.

          1. Remo

            Dimostrami che sbaglio

          2. emanuele

            E’ una tecnica ricorrente della comunicazione LGBT chiamare l’interlocutore a soddisfare oneri della prova argomentativi.
            Questo mette l’interlocutore in una situazione di sentirsi interdetto.
            Quindi, signor Remo, non attacca. Io non le dimostro un bel niente perché non vi sono tenuto. La chiamo alla constatazione di una evidenza: la LGBT non può pretendere il monopolio del termine “omofobia”.

  3. Italo Sgrò

    Le dittature funzionano così e quella genderista non fa eccezione, non si scherza.

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