Eugenio Corti: «La Medaglia d’oro? L’ha ritirata mia moglie. A me quelle “mascherate” lì…»

Di Attilio Negrini
28 Giugno 2013
Intervista all'autore del Cavallo rosso: «Noi brianzoli siamo sempre stati "paolotti", ma ora la gente venuta da fuori ci ha cambiati. Però non sono pessimista, dobbiamo confidare in Dio»

Riceviamo e pubblichiamo un’intervista allo scrittore Eugenio Corti, autore del Cavallo rosso, realizzata il 23 maggio a casa dell’autore insignito ad aprile della Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Che cosa ha pensato in quelle drammatiche ore del dicembre 1942 durante la ritirata di Russia dal Don?
Quei giorni di sofferenza mi hanno confermato nella fede. Ho assistito a tante scene tristi e ad episodi “mistici”, per esempio ho visto dei soldati in fin di vita profetare. Non solo quelli che sarebbero morti, anche alcuni che poi si sono salvati. A casa accadeva lo stesso: mamme che sentivano che il figlio era morto, oppure salvo, e poi la loro impressione veniva confermata in breve tempo da comunicazioni ufficiali. Io avevo affidato le preghiere a mia madre, lei da casa ha sempre pregato per me. E poi c’è un’altra Mamma che ci aiuta sempre, la Madonna mi è stata vicina, ci è sempre vicina.

Perché scelse di partire per la Russia?
Volevo vedere di persona, farmi un’idea dei risultati del gigantesco tentativo di costruire un mondo nuovo senza Dio, anzi, contro Dio, operato dai comunisti. Volevo assolutamente conoscere la realtà del comunismo; per questo pregavo Dio di non farmi perdere quell’esperienza, che ritenevo sarebbe stata per me fondamentale. In questo non sbagliavo.

Nel romanzo parla della gente della Brianza, di una società cristiana i cui valori sono stati l’humus dello sviluppo culturale ed economico. Poi con rammarico fa riferimento a una parte di cattolici che, a partire dal referendum sul divorzio, cede alle sirene del mondo.
Sì, è proprio vero, noi brianzoli, in particolare, siamo sempre stati “paolotti”, a differenza dei milanesi cittadini. Non a caso questa terra ha dato dei frutti importanti alla cultura, all’imprenditoria. Ma poi quella coscienza comune s’è trasformata, nelle scuole oggi non si insegnano più i sani princìpi, la gente venuta da fuori ci ha cambiati. Però non sono pessimista, il bene e il male nella storia si sono sempre alternati, dobbiamo sempre confidare in Dio.

Da giovane ha letto e gustato i poemi omerici.
Sì, Omero mi ha sempre colpito perché tutto ciò che descrive si trasforma in bellezza.

I suoi romanzi parlano una lingua diversa rispetto a quella dei guru della vulgata comune laica e laicista. Non è mai arrivato il Nobel ma ha ricevuto parecchi riconoscimenti, l’ultimo recentemente, una Medaglia d’oro dal presidente della Repubblica.
Sì, è arrivata a casa la comunicazione. Ma è andata mia moglie a ritirarla, a me quelle “mascherate” lì…

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5 commenti

  1. Marco

    …con i suoi libri! alle elementari, alle medie e al liceo! eh basta! uno finisce quasi per tifare i sovietici leggendo tutti i suoi libri!
    Grande stima per un grande brianzolo, ma esistono, grazie al cielo, anche altre anime oltre quella cattolica in Brianza!

    1. Charlie

      Come pretendere che la ” la Repubblica ” e ” il Fatto Quotidiano ” tifino per l’anima cattolica brianzola o estera.

    2. Giulio Dante Guerra

      Non “i sovietici”, i russi! Te lo dice uno che non solo ha letto, ed apprezzato, “Il cavallo rosso”, ma ha anche conosciuto un russo “vecchio stampo”, anche se di lontana origine tedesca, e naturalizzato italiano da lungo tempo: il pioniere dell’informatica italiana Nikolaj Nikolaevic Wolkenstein.

  2. francesco taddei

    cosa vuole dire con “paolotti”? e quale sarebbe la “gente di fuori che ci ha cambiato”?

    1. Giulio Dante Guerra

      E’ il soprannome che i “mangiapreti” (spero di non dover spiegare anche il significato di questa parola, vuol dire “anticlericali faziosi”) davano, con intenzione dispregiativa, ai volontari della “San Vincenzo de’ Paoli”, e, per estensione, a tutti i cattolici in qualche modo impegnati a rendere un po’ più cristiana una società, che già cominciava a secolarizzarsi. Giustamente, chi riceveva questo epiteto, ne capovolgeva l’intenzione, facendosene un “titolo onorifico”.

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