Davvero Francesco “ha aperto” allo Ius soli? Lettera al Papa

Di Luigi Amicone
22 Agosto 2017
Qualche osservazione e qualche domanda al Santo Padre e a come i media hanno interpretato il suo "Messaggio per la giornata mondiale del migrante"
Papa Francesco risponde alle domande poste dagli alunni delle scuole dei Gesuiti di Italia e Albania, accorsi all'incontro col Pontefice nell'Aula Paolo VI in Vaticano, insieme agli educatori e alle famiglie, 7 giugno 2013. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

Pope Francis General Audience

Carissimo Santo Padre Francesco, ci sono due aspetti che ci colpiscono come problema del suo “Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018”. Messaggio che reca la data “14 gennaio 2018”, ma che è stato reso noto, divulgato e ampiamente messo in risalto sulle prime pagine dei giornali online nella giornata del 21 agosto 2017. Il giorno seguente l’intervento di Paolo Gentiloni al Meeting di Rimini. Intervento nel quale il presidente del Consiglio italiano aveva di nuovo auspicato una legge sul cosiddetto “Ius soli”.

Il Santo Padre ci comprenderà, lui stesso dice di detestare gli adulatori e di accettare di buon grado le critiche («è bene essere criticato, a me piace questo, sempre. La vita è fatta anche di incomprensioni e di tensioni»). Dunque diciamo con franchezza le nostre perplessità e diciamo subito che esse riguardano due apparenti aporìe che sembrano presenti nel Suo messaggio.

Innanzitutto. Citando l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate, in qualche modo Lei contrappone «sicurezza personale» a «sicurezza nazionale», sostenendo che la prima è da «anteporre sempre» alla seconda. Lei scrive, testualmente: «Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI,[5] ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale».

Prima osservazione. Ma non sembra del tutto arbitrario a Sua Santità stabilire un nesso consequenziale tra il principio affermato dall’enciclica di Benedetto XVI e “l’obbligo” affermato nel Suo messaggio pro migranti? Più esplicitamente, dove si può rintracciare, nel Suo predecessore così come in tutto il magistero della Chiesa, la contrapposizione tra persona e comunità nazionale, che è società di persone, ovviamente, non un mero principio astratto? Piuttosto, seguendo la Sua stessa indicazione, ci imbattiamo in un’osservazione di Benedetto XVI nella Caritas in Veritate che non sembra combaciare affatto con quanto da Lei affermato. Leggiamo nell’Enciclica del Suo predecessore a proposito di migranti e migrazioni: «Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati». Si capisce chiaramente che in Benedetto XVI non vi è alcuna contrapposizione tra persone migranti e «società di approdo degli stessi emigrati». Al contrario. Egli richiama la «prospettiva di salvaguardare» sia «le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate», sia «al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati».

Seconda osservazione. Il messaggio del Santo Padre, incentrato su quattro categorie (“accogliere”, “proteggere”, “promuovere”, “integrare”) a ben vedere propone interventi pro migranti che sembrano definire una ricca e dettagliata agenda politica. Anche se, stranamente, al contrario di quanto sbandierato sulle prime pagine dei giornali, a noi non sembra così evidente (anche se non risultano smentite dalla Santa Sede, almeno al momento in cui scriviamo) il Suo presunto sostegno a una legge italiana sullo “Ius soli”.

In effetti, nel Suo Messaggio, Sua Santità fa un’affermazione diversa e assolutamente apprezzabile. E cioè dice che «nel rispetto del diritto universale ad una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita. La apolidia in cui talvolta vengono a trovarsi migranti e rifugiati può essere facilmente evitata attraverso una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale».

Ora, il contrasto all’apolidia e una legislazione sulla cittadinanza “al momento della nascita”, esistono già e sono già garantiti dalle norme italiane in vigore. Ogni legislazione naturalmente si può e, ove necessario, si deve migliorare. È possibile che anche la nostra meriti delle modifiche. Però, come ben sappiamo, alla luce dei fatti di cronaca che ogni giorno ce lo ricordano, non si possono negare legittime preoccupazioni delle persone di una comunità nazionale che assistono a una pressione migratoria straordinaria, incontrollata, gestita spesso da trafficanti di esseri umani, droga, armi e infiltrazioni terroristiche. Tutto ciò costituisce un problema che va affrontato non solo con i buoni sentimenti e le belle intenzioni. Ma va affrontato, anzitutto dai responsabili politici di una Nazione, con grande senso di responsabilità e umanità. Dove la traduzione fattuale di queste due gradi parole – “responsabilità” e “umanità” – è data dall’agire politico e sociale realistico e competente. Cioè secondo buon senso, razionalità, capacità di contemperare e salvaguardare tutti i fattori in gioco.

In conclusione, pensiamo che sarebbe urgente capire se il Santo Padre in persona sostiene davvero, e in prima persona, la proposta di legge del governo Gentiloni, del Pd e della sinistra in generale, a favore dell’introduzione in Italia dello Ius soli.
Sarebbe certamente una novità assoluta nella storia della Chiesa del secondo millennio. Ma ne prenderemmo atto tranquillamente anche se ce ne stupiremmo assai. Infatti, carissimo Santo Padre Francesco, alla luce dell’insegnamento della Chiesa e della stessa Enciclica Caritas in Veritate da Lei citata nel Suo messaggio, abbiamo sempre inteso che «la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire [10] e non pretende minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati».

@LuigiAmicone

Foto Ansa

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