Davanti al jihad Mosca non è cieca

Di Alessandro Sansoni
16 Aprile 2017
L’attentato a San Pietroburgo, le insinuazioni occidentali sul ruolo del presidente e le teorie del complotto interno visti con gli occhi del Cremlino

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’attentato che ha colpito la metropolitana di San Pietroburgo lunedì 3 aprile, tra la fermata di Sennaya Ploshchad e quella di Technologichesky Institut, «destabilizza gravemente il quadro della politica interna russa». Non usa mezzi termini l’analista di geopolitica.ru Daria Platonova nel commentare le conseguenze dell’esplosione che è costata la vita a 14 persone. Se le indagini della polizia di San Pietroburgo hanno rapidamente portato all’individuazione dell’attentatore-kamikaze, il ventiduenne uzbeko-tagiko con passaporto russo Akbarjon Djalilov, chiarendo immediatamente la matrice terroristica e islamica dell’attentato, più articolate sono state le reazioni e i commenti, tanto a Mosca, quanto all’estero.

A parte gli attestati di solidarietà al popolo russo, subito il fatto di sangue è stato interpretato come «un attacco a Putin», la formula con cui hanno titolato la notizia alcuni giornali occidentali. Una lettura maliziosa: non l’ennesima azione terroristica messa in campo da elementi fondamentalisti, dunque, come altre verificatesi in Francia, in Germania o a Londra pochi giorni prima, ma un’iniziativa che individua nel presidente della Federazione Russa, l’istigatore, o, peggio, l’ispiratore dell’attentato. Le letture dietrologiche non si sono circoscritte solamente agli ambienti russofobi occidentali. «Molti attivisti liberali e filo-occidentali – spiega a Tempi Daria Platonova – affermano che dietro l’attentato nella metro di San Pietroburgo ci sia lo zampino di Putin, che spera in questo modo di compattare l’opinione pubblica attorno al governo».

Secondo la Platonova, «la capacità di influenzare i media russi di cui dispongono le élite globaliste è molto forte e tende a minare il potere del Cremlino, oggi divenuto il punto di riferimento per coloro che sono impegnati a costruire un nuovo ordine geopolitico mondiale secondo lo schema multipolare». Un’opinione, evidentemente, molto distante da quella condivisa dai principali media europei e americani, che vedono, al contrario, Mosca particolarmente impegnata a influenzare l’opinione pubblica occidentale attraverso un’attività di controinformazione e di condizionamento delle competizioni elettorali.

Cinquantamila in piazza
Resta il fatto che l’attentato di San Pietroburgo ha avuto luogo proprio nel giorno in cui Putin si era recato in visita in quella città, la sua città, dove è nato e dove ha mosso i primi passi in politica, e che l’esplosione è avvenuta non distante da dove il presidente si era appena incontrato con il suo omologo bielorusso Aleksandr Lukasenko.

In effetti i contorni della vicenda sono poco chiari. Secondo gli investigatori, forse l’attentatore non sapeva nemmeno di essere un kamikaze. Si era radicalizzato da poco e il congegno sarebbe stato attivato a distanza, attraverso un cellulare. Presumibilmente Djalilov stava piazzando vari ordigni in punti diversi della metropolitana e non immaginava che l’avrebbero fatto saltare in aria. Inoltre nessuna organizzazione ha rivendicato l’attentato, laddove l’Isis, il giorno successivo, non ha esitato a intestarsi un agguato ad Astrakhan nel quale hanno perso la vita due poliziotti. Non è da escludere che il tutto possa essere inquadrato nel conflitto tra apparati dello Stato, in atto in questo momento in Russia, dove Putin sta procedendo a un impressionante ricambio generazionale della classe dirigente, mettendo da parte alcuni pezzi da novanta della politica moscovita e una parte dei suoi vecchi amici del Fsb (il servizio segreto russo). Sono quelli che l’esperto di geopolitica russo Aleksandr Dugin chiama la “sesta colonna”, in apparenza seguaci del presidente, in realtà sabotatori della sua politica “patriottica”.

In ogni caso, il governo è apparso molto scosso dall’attentato. Nonostante per la Russia non sia una novità il terrorismo islamico (va ricordato che Putin pose alla base del suo programma, allorché giunse al potere nel 1999, proprio la lotta al terrorismo islamista ceceno), il primo ministro Medvedev ha subito varato alcuni provvedimenti in materia di sicurezza e giovedì 6 aprile la piazza è stata mobilitata con un’imponente manifestazione tenutasi nella capitale e alla quale hanno partecipato oltre 50 mila persone contro la minaccia terrorista.

Infine, se qualcuno aveva pensato che i morti di San Pietroburgo avrebbero potuto favorire il miglioramento delle relazioni tra Russia e Occidente in nome della solidarietà contro il comune pericolo jihadista, l’acuirsi della crisi siriana – con l’accusa lanciata contro Assad di avere effettuato un terribile bombardamento con armi chimiche sulla città ribelle di Idlib all’indomani dell’attentato, poi venerdì 8 aprile la rappresaglia americana che ha raso al suolo la base da cui sarebbero partiti gli ordigni – ha immediatamente fatto tramontare questa ipotesi, aprendo viceversa uno scenario in cui persino il possibile riavvicinamento tra Washington e Mosca, prospettato dall’elezione di Trump, appare sempre più lontano.

@alesansoni

Foto Ansa

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