Tra i cristiani iracheni fuggiti in Libano. L’odissea della famiglia Aziz

Di Rodolfo Casadei
29 Luglio 2015
La persecuzione e la fuga di una famiglia caldea che è dovuta fuggire da Baghdad e che è stata aiutata dalla Chiesa libanese. Reportage da Beirut

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Sì, sarebbe bello che i cristiani smettessero di fuggire dai paesi del Medio Oriente, che le loro comunità in Iraq e Siria non continuassero a perdere massa alla velocità di un gelato esposto al sole. Siamo pronti a mandare aiuti umanitari per venire incontro ai loro bisogni materiali, a gemellare parrocchie e gruppi giovanili per incoraggiarli a continuare a testimoniare la loro fede in contesti tanto difficili. Ma provate a dirlo a Nabil Georges Aziz e ai cinque familiari che questo cristiano caldeo ha portato con sé in Libano da Baghdad: la moglie, due figli piccoli e gli anziani genitori. Dal 20 giugno scorso alloggiano in un appartamentino di due locali di Sid el Bauchrieh, quartiere di Beirut est, il cui affitto costa la modifica cifra di 500 dollari al mese, senza contare l’acqua e l’elettricità. I soldi per il momento ce li mette la generosa Chiesa caldea libanese. Nabil si è rivolto all’Alto commissariato Onu per i rifugiati per vedere riconosciuto lo status di profughi ai membri della sua famiglia e cercare di trasferirla negli Stati Uniti, dove vivono i genitori e una sorella della moglie Myrna.

Perché gli Aziz hanno lasciato Baghdad alla volta del limbo libanese, dove lo Stato li considera alla stregua di semplici turisti e quando il visto trimestrale scade dei clandestini che in qualunque momento potrebbero essere rimpatriati? Per la semplice ragione che tutta la famiglia ha rischiato la vita in tempi recenti, e alcuni di loro hanno pagato un conto salato. La prima a essersi salvata per un nonnulla dall’appuntamento fatale è la mamma di Nabil, che l’ultima domenica dell’ottobre 2010 stava recandosi a Messa nel posto sbagliato: la chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, quella del massacro di 53 cristiani da parte di terroristi mandati lì da Abu Bakr al-Baghdadi, che allora non era ancora califfo ma leader dell’organizzazione Stato islamico dell’Iraq. A salvarla fu il ritardo con cui uscì di casa: quando giunse nei pressi della chiesa nel quartiere di Kharrada, dove allora la famiglia abitava, già si udivano colpi di arma da fuoco. Fece dietrofront e poi seppe quello che stava succedendo quando arrivò a casa e accese la tivù.

cristiani-rigugiati-libano-01Al padre di Nabil è andata peggio: a causa del terrorismo ha perso una gamba. Il 17 aprile dell’anno scorso un’autobomba è esplosa in mezzo ai negozi del quartiere di Kharrada, causando 22 morti e innumerevoli feriti. La famiglia non abitava più lì dal 2011 (si erano trasferiti a Ghedir), ma tornavano per fare la spesa e visitare amici. Quel giorno una scheggia si è piantata nella gamba destra di Latif, che è diabetico. Risultato: non è stato possibile curarla, l’amputazione è stata l’unica soluzione. Quel fatto ha sconvolto i due nipotini, un bambino e una bambina, Fadi e Myrna: per tre giorni non hanno dormito. «Da quasi due anni avevamo smesso di andare in chiesa perché temevamo un attacco», spiega Nabil. «Non ci aspettavamo un incidente del genere». Ma il destino ha continuato ad accanirsi contro la famiglia Aziz con episodi da brivido all’insegna della miscela di fortuna e sfortuna. Il 30 marzo scorso Lina, la moglie di Nabil, è tornata a Kharrada in compagnia della figlioletta per fare acquisti in un negozio di abbigliamento. Mentre entrava è stata investita da due uomini che hanno cercato di rapire la piccola Myrna. Per fortuna tutti e quattro sono caduti, la madre ha protetto la bambina col corpo, è arrivata gente e i due malintenzionati sono fuggiti, non senza derubare la signora del suo telefono cellulare. Ancora più drammatica l’avventura che Nabil e sua madre hanno vissuto fra il 10 e il 15 giugno scorsi. Alla porta di casa si sono presentati alcuni uomini armati di una milizia sciita anti-Isis. Con toni intimidatori gli hanno chiesto di unirsi a loro per combattere i terroristi. «Perdonatemi, ma io sono la sola fonte di reddito della mia famiglia», ha risposto Nabil, che fino a qualche settimana fa era dipendente del ministero dell’Agricoltura in qualità di agronomo. Se ne sono andati, ma cinque giorni dopo si sono ripresentati, più numerosi e più aggressivi. A un certo punto della discussione uno dei presenti ha puntato la sua arma contro la testa di Nabil: «Adesso basta, vieni con noi», gli ha intimato. Allora Soliah, la madre, si è gettata in ginocchio davanti ai miliziani, implorandoli di lasciare stare suo figlio. Solo dopo quel gesto plateale gli sciiti si sono decisi ad andarsene a mani vuote. Pochi giorni dopo tutta la famiglia ha lasciato l’Iraq alla volta del Libano. «Siamo cristiani, la nostra religione non ci insegna a uccidere gli altri, ma a praticare la carità», conclude Nabil. «Per questo siamo costretti ad andarcene. Nella mia via abitavano undici famiglie cristiane, adesso ne è rimasta una sola».

«In poco più di un anno sono arrivate qui dall’Iraq 1.200 famiglie caldee, che sono andate a sommarsi ai profughi cristiani iracheni degli anni passati ancora presenti sul nostro territorio. Oggi noi caldei libanesi, che contiamo in tutto duemila famiglie, assistiamo tremila famiglie di caldei iracheni in fuga e in attesa di sistemazione definitiva in Occidente». Chi parla così è monsignor Michel Kassarji, vescovo della piccola comunità caldea libanese. Da un decennio ormai Beirut è mèta di cristiani iracheni in fuga, vittime dell’insicurezza e delle persecuzioni a sfondo religioso innescate dalla caduta del regime di Saddam Hussein, al quale non è succeduta la democrazia ma il caos. La maggioranza di essi è composta da caldei, la principale delle denominazioni cristiane irachene. Quanti ne siano passati complessivamente attraverso il piccolo paese mediorientale nell’ultimo decennio non è facile da stabilire, ma una cosa è certa: dopo la caduta di Mosul nelle mani dell’Isis nel giugno dell’anno scorso e poi dopo la conquista di gran parte della piana di Ninive in agosto l’esodo è ripreso impetuoso, anche se le cifre restano molto lontane da quelle riguardanti i siriani, che da metà 2011 affluiscono in Libano e che oggi ammontano alla cifra pazzesca di 1,3 milioni, in un paese che di suo conta 3,5 milioni di abitanti. Anche fra loro si trovano alcune famiglie di rito caldeo.

Il 20 agosto entrerà in funzione una nuova opera sociale, un centro socio-assistenziale e pastorale in titolato a Nostra Signora della Misericordia nel quartiere di Sid el Bauchrieh, dove i profughi iracheni cristiani sono numerosi. Questa struttura va ad aggiungersi al centro socio-sanitario Saint Michel istituito nello stesso quartiere nel 2011, dove profughi iracheni e siriani e bisognosi di gruppi libanesi svantaggiati ricevono trattamenti sanitari a tariffe calmierate o gratuitamente. Entrambe le opere sono il risultato degli sforzi del vescovo monsignor Kassarji e dell’Associazione caritativa caldea in Libano, che hanno finanziato le iniziative e trovato benefattori nazionali e internazionali (la Provincia di Trento ha contribuito alla nascita del centro socio-sanitario con una donazione di 420 mila dollari). Il totale del contributo annuo della Chiesa caldea libanese al benessere dei fratelli di rito in fuga dall’Iraq (e in piccola percentuale dalla Siria) è cospicuo: 600 mila dollari di generi alimentari per 12 mila razioni complessive distribuite nel corso di un anno (con cadenza trimestrale); 875 mila dollari di borse di studio per 2.500 studenti (350 dollari a testa in media) che frequentano le scuole libanesi; 300 mila dollari di contribuzione a costi di assistenza sanitaria che né lo Stato libanese né gli enti internazionali coprono per bisogni che vanno da interventi chirurgici a esami di laboratorio, da radiografie a medicinali. E questo non è tutto. «Aiutiamo chi non è in grado di pagare i costosi affitti di Beirut fino a quando non trova un lavoro che gli permetta di mantenersi», spiega monsignor Kassarji. «Centinaia in questi anni hanno trovato un impiego grazie alla nostra intermediazione. Il ministro del Lavoro chiude un occhio: nessuno di loro ha un visto che gli permetta di lavorare in Libano, ma sarebbe folle costringere le persone a restare inattive e assisterle per anni. C’è gente che è qui dal 2002, e non ha ancora trovato una soluzione al suo problema. Chiediamo a tutti i cristiani del mondo di aiutarci ad aiutare questi fratelli perseguitati». Chi vuole condividere lo sforzo dei caldei libanesi in soccorso dei cristiani iracheni profughi troverà le indicazioni per bonifici bancari navigando il sito internet http://chaldeansoflebanon.org/.

@RodolfoCasadei

Foto di Rodolfo Casadei

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10 commenti

  1. Franz&&

    @Taddarita :

    Mons. Khazen nell’intervista ha anche detto :
    ” Noi in Siria abbiamo 23 gruppi religiosi-etnici diversi che costituivano un bel mosaico. E adesso cosa stanno diventando ? E ci parlano di diritti dell’uomo”.
    E’ la concretizzazione del Piano Yinon che non sopporta la convivenza tra fratelli in Abramo

    1. yoyo

      Convivenza che non è mai esistita, come il piano Yinon.

      1. Raider

        Ben detto, Yoyo.

  2. Taddarita

    Da Radiovaticana.va, mercoledì 29 luglio :

    “Lo Stato Islamico (Is) è uno strumento nelle mani delle grandi potenze, da loro sono stati creati, armati e sostenuti. Invece di combatterli sul terreno comprano da loro il petrolio e i reperti archeologici rubati in queste terre”. Lo ha denunciato ieri sera il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000. “Sappiamo bene chi sta comprando queste cose dall’Is”, ha aggiunto mons. Khazen, parlando della presenza di “veri e propri campi d’addestramento” nei Paesi “limitrofi della Siria, tra cui anche la Turchia”. “Gli uomini dell’Is – ha dichiarato il vicario di Aleppo – hanno preso le zone dove c’è il petrolio, l’hanno cominciato a vendere a 10 dollari al barile e adesso a 30 dollari. E chi sta comprando petrolio e reperti archeologici? Sicuro non sono i somali o quelli della mauritania”.
    Le perplessità sull’attacco della Turchia contro Is e curdi
    Mons. Khazen – riferisce l’agenzia Sir – ha poi commentato le operazioni militari che la Turchia sta eseguendo contro l’Is in Siria e contro i curdi del Pkk in Iraq. “La gente teme che i turchi vogliano combattere i curdi sotto la scusa dell’Is”. “Se è una lotta contro l’Is va bene – ha precisato – ma se è una scusa della Turchia per creare una zona indipendente dalla Siria, allora diventa un po’ pericoloso”. “Sappiamo bene – ha annotato – che la Turchia ha permesso all’Is di entrare, di armarsi e avere il loro addestramento”.

    1. yoyo

      Dubito fortemente che Radio Vaticana dia sostegno a tesi complottiste. Comunque essere monsignori non esenta da errori di valutazione, soprattutto nel temporale.

      1. Raider

        Caro Yoyo no si tatta di credere a quello che dichiara alla Radio Vaticana o a qualche altra radio o mezzo d’infomazione questo o quello, discutibile come molte cose. Il fatto è che il multinick nazi-islamico fautore della dhimmitudine e di altre scemenze, che continua a usare nickname in siciliano perché ha fatto di un siciliano la sua ragione di vita internettiana – pensa quant’è bestia il superlativo paranoico cretino: bastebbe questo segno di demenza a dimostrare come non vada oltre il delirio compulsivo – falsifica tutto: non solo per quel che attiene la religione – la trafila che sappiamo: “Islam, religione naturale dell’umanità, “Islam, religione di pace”: e da qui, a scoscendere di bestalità in bestialità conseguenti queste menzogne acclarate -: vale per la storia, per la cronaca e figurarsi per interviste, dichiarazioni, ecc…
        Infatti, il paranoico e come lui e con lui, tutti i suoi amici e colleghi e procuratori di balle nell’Islamistan, riporta le dichiarazioni estrapolate di alcuni alti prelati cattolici, ma delegittima, attacca e rovescia fuoco e fiamme sulla Chiesa cattolica tutte le volte che può: per es., quando la Chiesa certifica che i cristiani sono il gruppo religioso più peseguitato, discriminato, emarginato al mondo e che nell’80% dei casi sono vittime di boia, legislazioni, ostilità dovute agli islamici: allora, come in altri casi – vedi l'”abiura” dei roghi dell’Inquisizione o la revoca della condanna degli ebrei come popolo decida -, al falsario di professione saltano i nervi e la Chiesa gli diventa nemica da distruggere.
        La “spartizione” e il destino del Medio Oriente, secondo questo malato di mente, furono stabiliti fin dalla seconda metà dell”800: la cosa, peraltro, può essere esaminata in maniera, appunto, storica, sulla base di considerazioni di ordine diplomatico, civile, politico, culturale: in cui, però, l’egemonia europea (nel contesto dei conflitti fa Stati in competizione, non certo come un blocco omogeneo che i complottisti e gli islamici non tardano a qualificare come “crociato”) e l’inferiorità del mondo islamico obbligherebbero anche i fanatici multinick a uscire fuori dalle mitizzazioni a ruota libera e meningi coatte per riconoscere come la cappa costituita dalla religione islamica sia responsabile della complessiva situazione di arretratezza dell’intero Islamistan, non del solo Medio Oriente.
        Invece, che fa, il complottista paraoico? Fa che risolve tutto con la teoria del complotto e dunque, col petrolio: nella seconda età dell”800! Quando il primo pozzo di petrolio fu scavato in Arabia Saudita dagli americani nel 1939! Questo, per restare a un esempio terra terra, ma sempre volando nell’alto dei cieli delle paranoie islamiche, a cominciare dall’idea che la Bibbia sarebbe stata manipolata dai rabbini e che la vera Bibbia restaurata nella sua verità filologica e teologica è (manco a dirlo) il Corano: perché sia chiaro a che pensano questi mistificatori e falsari all’origine islamica quando sproloquiano di “popoli del Libro.”
        Ma, poi, per sapere quanto bene faccia un monsignore o un altro adusi alla “protezione” di Assad e Saddam Hussein, per dirne solo due, a ripetere ciò che sostengono i suoi “protettori”, ci sono notizie come questa: che i profughi cristiani dalla Siria giunti in Svezia sono stati minacciati da profughi islamici giunti in Svezia anch’essi dalla Siria: tanto che quei decadenti, smidollati socialdemocratici svedesi hanno dovuto separare i cristiani dagli altri per evitare che si ripetesse lassù quello da cui i cristiani fuggono. Capito, mons Khazen?
        Ora, può darsi, non è detto, che una notizia come questa passi anche a Radio Vaticana: ma è sicuro che il panaoico multinick e i suoi accoliti non la copincolleranno qui. Troppo occupato a masticare e falsficare il dialetto siciliano fin dal nickaname, condannato com’è il re dei re dei troll multinick a ottemperare quanto gli prescrive il detto siciliano riportato da me in italiano: a rosicchiarsi in eterno le sue stesse ossa col sale grazie a un siciliano vero come me.
        NO ALL’ISLAM!

      2. Raider

        Potreste sbloccare il post che ho inviato? Grazie.

  3. Taddarita

    Faccio alcune considerazioni.
    Lo smembramento del Medio Oriente è già programmato da molto tempo.
    Già dalla seconda metà del diciannovesimo secolo le allora nazioni egemoni mondiali, tutte europee, stavano cercando di dare un senso a quale realmente fosse l’importanza del Medio Oriente. Dopo che in quella parte di mondo furono scoperti i più grandi giacimenti di petrolio esistenti, il suo totale controllo divenne essenziale per lo sviluppo economico futuro delle grandi potenze, ma soprattutto per il mantenimento della loro potenza politica e militare nel mondo. Ma sul controllo della regione aumentarono immediatamente anche le mire di altre nazioni “emergenti” che avevano come obiettivo, sia quello di crescere come importanza mondiale, sia anche quello di diventare le uniche a poter dominare l’area.
    Gli Stati Uniti erano ovviamente in prima linea.

    1. Sebastiano

      Infatti è per questo che i nerobarbuti dell’ISIS e i loro vari sodali stanno sterminando cristiani, yazidi, curdi e chiunque non sia come loro, e non solo in medio oriente ma in ogni parte del globo terracqueo. Già…

      1. yoyo

        La globalità della minaccia indica chiaramente che il califfato non solo non ha origini americane, benché Obama abbia stoltamemte finanziato per meso, nel 2011, chiunque si opponesse ad Assad, perché in quel momento in Occidente andava di moda applaudire sempre e comunque le primavere arabe, ma non ha neppure alcuna remora a massacrare i suoi “benefattori”. I primi nemici che l Islam continua ad individuare sono sempre tutti coloro che si professano ebrei o cristiani.

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