Comunque è stato Putin

Di Pietro Piccinini
05 Aprile 2017
Va bene che il presidente russo dev'essere per forza il babau dell'Occidente. Ma si può incolparlo dell'attentato a San Pietroburgo senza logica né vergogna?

Lasciamo pure perdere le mancate dimostrazioni di solidarietà internazionale nei confronti di Putin e del suo popolo per l’attentato di San Pietroburgo. Non si può pretendere che tutti fingano di trattare da amico quello che hanno deciso di considerare sempre e comunque come un nemico. Ma si può gestire la notizia nel modo in cui l’hanno gestita i nostri giornali, sempre pronti a denunciare le post-verità degli altri e la “propaganda russa” che minaccia le nostre democrazie?

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Già nel giorno dell’attacco, quando il fumo dell’esplosione fluttuava ancora nella metropolitana di San Pietroburgo e nemmeno si sapeva che i morti sarebbero stati 14 e i feriti diverse decine, nelle dirette proposte dai siti delle maggiori testate italiane gli inviati si dilettavano a trovare zampini di Putin dappertutto.

Peggio ancora hanno fatto i quotidiani del giorno dopo, ai quali un po’ di tempo per riflettere non era mancato, eppure sono riusciti a pubblicare cose incredibili.

Il Fatto quotidiano, dalla prima all’ultima delle pagine dedicate all’evento, era tutto un’allusione alla teoria che dietro le bombe ci fosse Putin. Ovviamente non c’era nessuna prova di tutto ciò, a parte i suggestivi link “logici” di Leonardo Cohen: «La collera, strumentalmente indirizzata contro i jihadisti, è utile al Cremlino per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalla massiccia e iniqua repressione contro i manifestanti che erano scesi in piazza il 26 marzo per denunciare la corruzione dei piani alti del regime, a cominciare dal premier Medvedev, il braccio destro di Putin».

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A quanto pare, secondo la logica di Cohen, Putin, in evidente crisi di consenso (ironia) e ormai sopraffatto da una opposizione potentissima (ironia fuori luogo), avrebbe dovuto prendersela con i corrotti invece di strumentalizzare i poveri terroristi islamici per distrarre la gente. Non avendolo fatto, il presidente è per ciò stesso sospettabile. Sempre Cohen: «Disegno complesso quello del Cremlino: sbriciolare l’opposizione e dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica, dalla corruzione ai jihadisti ceceni e daghestani reduci dalla Siria».

Ancora: «Le bombe alzano il livello. Dalla protesta che imbarazza il Cremlino, alla priorità della lotta antiterrorista, dunque della sicurezza e della difesa della patria». Come si chiama tutto ciò? Che domande. Si chiama «strategia della tensione». E insomma ci siamo capiti.

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A Repubblica sono riusciti a mantenere un minimo di equilibrio (almeno in prima pagina l’ordigno era una “bomba islamista contro Putin”), ma nemmeno il quotidiano romano si è trattenuto dall’agitare “l’ombra lunga dei Servizi” sull’attentato.

Dall’articolo di Viktor Erofeev: «In un Paese con il 70% degli uomini al potere che proviene dalla Forza pubblica (i cosiddetti siloviki), la scelta dei responsabili di un atto terroristico dipende, purtroppo, solo e soltanto da loro. Saranno loro a svolgere le indagini e loro a riferire al presidente. Di indagini indipendenti non se ne vedono da un pezzo, e lo sappiamo bene. Che cosa ci diranno, dunque, costoro? È stata l’Isis? Un bel giro di vite. È colpa degli ucraini? Ho già risposto sopra. Sono stati gli amici di Navalnyj? Vietiamo ogni sorta di opposizione. E se invece fossero stati loro, i siloviki? Figurarsi se lo ammetteranno mai…».

Anche se la cosa più imbarazzante su Repubblica era probabilmente la vignetta di Ellekappa. Al prossimo paese occidentale colpito dal terrorismo, bisognerà provare a riproporre lo stesso tipo di umorismo per vedere l’effetto che fa.

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Nelle edizioni di oggi c’è un po’ meno spazio dedicato alla fantasia (ovvero all’ideologia) e un po’ di lucidità in più. Il kamikaze jihadista, anziché essere stato mandato da Putin a suicidarsi per motivi promozionali, sembra avere avuto effettivamente legami con l’Isis. Del resto, come scrive Repubblica, «il punto di svolta è stato l’intervento russo in Siria del 2015 a sostegno delle forze di Assad che ha fatto della Russia un obiettivo primario del jihadismo globale». Spiegazione che appare un po’ più credibile rispetto a quella del diversivo putiniano per distogliere l’attenzione dalle piazze dell’opposizione.

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Anche il Fatto adotta una linea meno complottista, nonostante un titolo che tira di nuovo in ballo “i Servizi”. Il quotidiano diretto da Marco Travaglio propone addirittura un’analisi che consiglia ai lettori di non lasciarsi portare troppo a spasso dalle proprie sinapsi antiputiniane. Ricorda Gian Paolo Caselli: «Chiunque governerà la Russia dopo Putin avrà a che fare con il terrorismo islamico, così come avverrà per l’Unione Europea». E con questo, forse, possiamo finalmente essere “tutti russi” senza sentirci in colpa, vero Ellekappa?

Complimenti anche ai colleghi del Fatto, quindi. Peccato solo per la vignetta in prima pagina che risulta difficile definire.

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Qualcuno è incappato in una mezza reazione indignata da qualche parte, magari fra il “popolo del web”? Oppure indignarsi in questo caso è roba da hacker russi? A quando una vignetta con Hollande lordo di sangue e tutto pimpante per l’effetto-consenso prodotto dagli attentati di Parigi? E Theresa May non se lo sarà fatta da sola l’attentato a Westminster, per rinfocolare un po’ di favore attorno alla Brexit “dopo le proteste di piazza”?

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