
Margin Call, il crack finanziario del 2008 tutto in una notte
Tempi.it ha visto in anteprima per voi Margin Call di J. C Chandor con Kevin Spacey, Paul Bettany, Zachary Quinto, Jeremy Irons, Stanley Tucci e Demy Moore
2008, New York. Sono le dieci di sera, i grattacieli della Grande Mela hanno quasi tutte le luci spente. Ma negli uffici di una grande banca d’investimenti Peter Sullivan, giovane analista finanziario, è ancora al lavoro. Dopo una giornata di licenziamenti a tappeto anche il suo capo è stato mandato via, ma prima di farlo gli ha consegnato una chiavetta chiedendogli di studiarne il contenuto e poi ha aggiunto: «Stai attento». In poche ore e con qualche ingegnoso calcolo Peter scopre che lo società per cui lavora è a un passo dal fallimento. È necessario chiamare a raccolta tutti i pezzi grossi, il tempo a disposizione è minimo, tra poche ore Wall Street aprirà e sarà troppo tardi. Quello che Peter e i suoi capi ancora non sanno è che quella sarà la notte che darà il via alla grande crisi finanziaria scoppiata quattro anni fa.
Sono in molti a chiedersi cosa sia successo davvero nel 2008. Perché a un certo punto un’impalcatura dall’aspetto solido, come la finanza mondiale, è crollata come un castello di carte dopo il soffio d’alito di un bambino? Il regista J.C Chandor, al suo esordio in un lungometraggio, prova a raccontarcelo tra le quattro mura di un grattacielo paurosamente claustrofobico. Con lui c’è un cast incredibile (Kevin Spacey, Paul Bettany, Zachary Quinto, Jeremy Irons, Stanley Tucci e Demy Moore) che costituisce il vero fiore all’occhiello del film e si muove con agio incredibile nei meandri della terminologia finanziaria, isolando a volte lo spettatore, che con un espediente curioso viene ammesso alla conoscenza. Già perché in Margin Call, in uscita il 18 maggio, gli squali dell’alta finanza sanno vendere e comprare sul mercato, ma i numeri, le statistiche, i test, gli studi, il controllo dei rischi, sono tutte operazioni effettuate dalla base. E la base è giovane, speranzosa, ha voglia di lavorare e guadagnare e non ha idea dell’ignoranza che caratterizza chi siede molti piani più. Per questo motivo Peter, ingegnere spaziale, deve spiegare al presidente della società e agli altri azionisti cosa sta per succedere: la catastrofe è lì, su un grafico che per loro non vuol dire nulla.
Sarà davvero così a Wall Street? Difficile immaginarlo, ma Chandor giura di essersi ispirato ai racconti di suo padre, per quarant’anni dipendente di una società che si occupava d’investimenti. Jeremy Irons, nei panni del presidente, si definisce solo “un abile venditore che è riuscito a fare soldi a palate” e che riuscirà a rimettersi in sesto anche da questa crisi, del resto lui ne ha vissute parecchio e a memoria elenca tutti i crack finanziari degli ultimi secoli. La partita si gioca tutta lì, in una stanza dove i soldi sono solo uno strumento di scambio, dove in pochi secondi si uccidono i sogni della gente, soldi che la finanza stessa ha contribuito a creare illudendo le persone di poter vivere al di sopra delle proprie possibilità. In quella stessa stanza dove tutti i limiti del film sono evidenti: l’ansia di Chandor di prendere le distanze da qualsiasi tentativo di giudizio rende la trama sterile, i pochi e fugaci sentimenti percepibili non vengono mai indagati realmente e rimangono in superficie. Il ritmo è abbastanza sostenuto ma non assume mai i contorni vertiginosi di un buon thriller e la sensazione è di costante attesa per un colpo di scena che non arriva. Si poteva fare di più? Certamente, ma è praticamente certo che dopo Wall Street – Il denaro non dorme mai e Margin Call saranno ancora tante le pellicole che s’interrogheranno sulla crisi che ancora grava sull’economia mondiale.
Vale il prezzo del biglietto? Meglio un noleggio
Chi lo amerà? I broker, chi gioca in borsa, gli economisti
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