
Beatrice Fazi, storia di una conversione «fatta di piccoli passi, perché Dio ci dà tempo per abituarci»

Beatrice Fazi, il volto noto della tv, entrato nelle case degli italiani con il nome di Melina, la filippina della serie televisiva “Un medico in famiglia”, è una che già a tre anni sapeva che cosa voleva dalla vita: «Volevo fare l’attrice, ce la misi tutta e così fu». E in effetti, l’ambiziosa ragazzina trasferitasi a Roma subito dopo le superiori per coronare il suo sogno ottenne esattamente tutto ciò che sperava, tranne una cosa: «La felicità, che non raggiungevo mai». Fu questo il pertugio dove Dio si infilò per riportarla a casa. Beatrice ha ripercorso con tempi.it la sua vicenda, che ha raccontato anche nel libro in Un cuore nuovo. Dal male di vivere alla gioia della fede (Piemme, 2015).
IL SUCCESSO E L’ABORTO. Per seguire i suoi sogni, Beatrice lasciò la natia Salerno appena maggiorenne. Dopo qualche esperienza teatrale «divenni famosa partecipando al programma Macao». Sono questi gli anni d’oro dell’aspirante attrice, che già giovanissima frequenta i vip della capitale. Eppure proprio in quel momento «mi provocai una ferita che non si è ancora rimarginata: a 20 anni abortii, convinta che fosse giusto, dato che le amiche di allora mi dicevano che mio figlio era un grumo di cellule. L’uomo che mi aveva messa incinta mi lasciò sola».
L’interruzione di gravidanza e il divorzio dei genitori furono fattori che la allontanarono sempre di più dalla religione e dalla fede: «Pensavo alla religione come a una favola. Quando ero piccola i miei ci portavano a Messa e dicevamo il rosario tutti i giorni, ma poi casa mia divenne invivibile: stavo male con mamma, papà e i fratelli. Cominciai così a professarmi anticlericale, favorevole a uno stato laico e all’autodeterminazione. Marciavo per i diritti della donna e la difesa della legge 194».
L’attrice descrive la sua come «una scelta scientifica di abbattere ogni limite», ma più i limiti «si infrangevano e passavo di idolo in idolo, più ero disperata: una volta ottenuto il lavoro, la casa, l’amore, la forma fisica sperati avvertivo un senso di vuoto enorme: ero una persona edonista, egoista e incentrata solo su me stessa, quindi disperata».
PICCOLI PASSI. Beatrice cercò una risposta al suo disagio nel buddismo prima e nella psicologia poi. Ma nessuna di quelle strade si rivelò soddisfacente e così «tornai a Salerno come per rinascere, come ricercando l’utero materno». Anche qui, nuove delusioni la spinsero a ritrasferirsi a Roma, «ripartendo da zero. Facevo la cameriera per pagare il mutuo della casa che avevo comprato e smisi di vedere i miei vecchi amici».
Fu in quel periodo che cominciò una lenta ma inesorabile conversione fatta di piccoli passi e incontri quasi casuali. Una volta trovandosi a piangere davanti al Santissimo Sacramento, «che per me era solo un pezzo di pane», un’altra volta incrociando lo sguardo di un papaboys a Roma per il Giubile del 2000 («non li sopportavo, eppure li invidiavo»). Qualcosa inizia a cambiare in Beatrice. Un percorso «fatto di piccoli passi, perché Dio ci dà tempo per abituarci». Finché rimase di nuovo incinta e «le mie certezze vacillarono». Su consiglio di un’amica, incontrò un sacerdote: «Fu lì che rincontrai l’amore di Cristo: mi confessai e capii che Dio non era un giudice cattivo, ma un padre e che la Chiesa non è un insieme di regole vuote, ma una fonte di misericordia. Avevo infranto tutti e 10 i comandamenti e quel sacerdote diceva a me, una scomunicata, che ero chiamata alla santità».
FIUME DI VITA. Anche il rapporto con Pier Paolo, il fidanzato, cambia. Anche per lui, ateo divorziato, inizia un cammino di avvicinamento alla fede. All’inizio non fu per nulla facile: «Il nostro rapporto era in seria crisi però cominciammo anche a conoscerci profondamente e a cementificare il rapporto sull’Unico che può non renderlo deludente. E nel tempo abbiamo imparato ad amarci». Fino alla scelta di chiedere l’annullamento del precedente matrimonio di Pier Paolo e di vivere in castità «senza pretendere in cambio la Comunione» finché la Chiesa non si fosse pronunciata. «La castità fu un dono: ci aiutò a comprendere la grazia del matrimonio, imparammo ad amarci come Cristo ama la Chiesa».
Dopo il pronunciamento della Sacra Rota, «il nostro amore è diventato una preghiera, nella consapevolezza di partecipare alla grazia redentrice di Cristo. Così è davvero la fine del mondo, tanto che ora abbiamo quattro figli. E dico che chi molla nelle difficoltà non sa cosa si perde».
Le ferite di un tempo si sono via via rimarginate, toccando anche la madre, il fratello e tanti amici. Beatrice ha imparato ad affrontare il suo aborto «chiamando le cose con il loro nome, fatto che mi guarì dai disturbi alimentari che avevo». La sua medicina si chiama perdono e questa nuova vita è «un fiume di vita».
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3 commenti
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Lo vedi, carissima multi-nick-horror, nick principali e nick d’appoggio, oggi forse Bob, o Kim, o Xyzwk, o Riccardo o Domi o altri freschi di giornata…. che la speranza c’è sempre ?
Speranza di guarire, di cambiare, di voler bene, di essere voluti bene, di essere felici : è possibile, perché se Qualcuno ci ha voluto così tanto da darci l’essere, non può abbandonarci alla nostra cattiveria.
Continua a leggere Tempi.it, rinuncia alle tue identità multiple, starai meglio.
@Giovanna : non si rende conto che io sto fotografando i suoi post e ben volentieri li consegnerò alla polizia postale? Non si rende conto che la sua è un ‘opera di ingiuria o diffamazione?
O davvero credeva di potermi perseguitare virtualmente usando i suoi vari nick e la sua sfacciataggine?