Batteremo il terrorismo insegnando la Marsigliese ai musulmani barbuti?

Di Alfredo Mantovano
19 Settembre 2016
Su impulso del governo francese, in un castello nella valle della Loira, parte un piano per de-radicalizzare (cioè “ri-programmare”) i giovani attratti dal terrorismo islamico

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nelle ultime settimane i cugini francesi ci hanno deliziato col burkini. La loro polizia, tragicamente assente sul lungomare di Nizza la sera del 14 luglio è stata poi impiegata in forze e con sprezzo del ridicolo per allontanare dalla spiaggia le pochissime donne che avevano osato andare in riva al mare coperte in larga parte del corpo. Non è sufficiente far coincidere la civiltà occidentale con l’ostentazione della natica. Il 16 settembre, su impulso del governo francese e per le cure del prefetto del luogo, nel castello di Pontourny, valle della Loira, parte un programma di de-radicalizzazione, dedicato a giovani attratti dal terrorismo islamico. Attualmente gli ospiti sarebbero 5 o 6, con una struttura che può ospitarne fino a 30; l’intenzione del primo ministro Manuel Valls è di aprire un centro di questo tipo in ogni regione della Francia, fino a un totale di 13.

Ecco i dettagli del “programma”: 10 mesi di sveglia all’alba, colazione e pulizia delle stanze, partecipazione all’alzabandiera e canto della Marsigliese con indosso una uniforme eguale per tutti; ciò per liberarsi dei segni esteriori della vita precedente (né barbe né veli) e per attingere alle fonti del patriottismo repubblicano. Durante la giornata lezioni di storia, islam e geopolitica, curate da un team di una trentina di persone, che vede accanto agli insegnanti anche psicologi, infermieri e assistenti sociali, per un costo complessivo di un milione di euro all’anno. Non è chiaro quali siano i criteri di selezione dei giovani che stanno iniziando il “programma”: si dice che non hanno precedenti penali né pendenze giudiziarie, né appaiono segnalati dai servizi. Sarebbero invece indicati (sospettati?), talora dalle famiglie di provenienza, perché si teme che vadano a combattere in Siria o organizzino attentati in Francia: prima di entrare firmano un contratto. Se rifiutano non troverebbero più lavoro.

Un modello già fallito
Ci sono modi diversi per affrontare le sfide della realtà. La cultura cristiana suggerisce di avvicinarsi alla complessità di un problema con umiltà, e di individuare le soluzioni che ne rispettino le sfaccettature. Larga parte della modernità, illuminata dai gloriosi princìpi del 1789, vuole invece obbligare il reale a inserirsi nelle caselle dell’ideologia. Quest’ennesima genialata corrisponde alla seconda impostazione: non ha insegnato nulla la circostanza che sovrapporre e imporre il laicismo di Stato alle confessioni religiose ha provocato finora emarginazione, risentimenti, ribellioni. Il modello assimilazionista continua a dettare leggi e comportamenti.

Gli ospiti di Pontourny non sono criminali, altrimenti starebbero in carcere; non hanno neanche manifestato pericolosità sociale, altrimenti sarebbero stati registrati dai servizi ed espulsi; non si comprende quali siano gli elementi perché li si consideri “a rischio”. Però li si chiude in un centro (con adesione formalmente volontaria) e li si “ri-programma”.

In una nazione nella quale le segnalazioni riguardanti i veri indiziati di appartenenza al terrorismo provenienti dai servizi interni – più spesso da quelli di altri Stati – sono state colpevolmente ignorate, e hanno costituito concausa degli attentati gravissimi consumati negli ultimi due anni; in una nazione che non si è ancora dotata degli strumenti di anticipazione della difesa dalle aggressioni che in Italia vigono da oltre dieci anni e nella quale i rapporti con le comunità musulmane sono esacerbati da scelte provocatorie e prive di senso come la proibizione del burkini; in una nazione che vive questo travaglio, il meglio che viene in mente è istituzionalizzare il brain-washing (certamente con taglio chic, vista la bellezza del luogo nel quale si svolge), confermare il messaggio che il pericolo sta nell’islam e non nella sua lettura ultrafondamentalista, rifiutare la collaborazione educativa, questa sì potenzialmente produttiva, con realtà islamiche lontane nella forma e nella sostanza da ogni deriva terroristica. La valle della Loira merita altro. E non solo essa.

Foto Ansa

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4 commenti

  1. Ferruccio

    Questi ci prenderanno per scemi e penseranno che la nostra sottomissione sia una missione umanitaria.

  2. Carolina

    secondo me serve una specie di sorveglianza civile chiamiamola così. Anche i genitori musulmani (non nella fascia d’età incriminata quindi) devono considerare le parti di città e le persone colpite dagli attentati come “bene comune” e gli attentati stessi come “ferite” e quindi devono avere un atteggiamento protettivo verso persone e cose, cercando di dissuadere chiunque (i loro figli ma anche amici conoscenti etc) dal terrorismo.

    1. Menelik

      Bisogna riconoscere, però, che distruggendo l’isis si taglia la testa del mostro.
      Si elimina il riferimento ideale che tramuta i loro deliri in realtà possibile.
      Non si risolve il problema del fondamentalismo jihadista, certo che no, il problema di fondo resterà ed il disagio assumerà altre forme e prenderà altre vie, ma almeno si elimina il “terminale” a cui mirano, e da cui ricevono sostegno strategico.
      Seppellire l’isis è un gran passo avanti alla risoluzione del problema, e mi pare, dalle ultime notizie che ho letto, che gli USA stiano remando contro.

  3. Filippo81

    Non credo che questi ragazzi possano essere sottratti al fondamentalismo islamico o al terrorismo semplicemente insegnando loro i “valori liberaldemocratici”, serve Altro……..

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